Le forme di tutela non giurisdizionale panacea o utopia?

MARIO P. CHITI 

1. L’occasione della pubblicazione del libro di Michele Giovannini (“Amministrazioni pubbliche e risoluzione alternativa delle controversie”) propizia una nuova discussione sulle tecniche di tutela “alternative” alla giurisdizione, usualmente note secondo l’acronimo inglese ADR (Alternative Dispute Resolutions), con riferimento primario alla tutela nei confronti delle pubbliche amministrazioni. Precisazione, quest’ultima, necessaria dato che il ruolo delle forme di tutela “alternative” è potenzialmente rilevante in tutti i settori del diritto; ed in particolare nel diritto civile.

A prima impressione, si potrebbe pensare che su questa tematica sia già stato detto pressoché tutto, sì da rendere un nuovo dibattito forse superfluo. Ora, non è dubbio che pochi altri temi hanno avuto nell’ultimo decennio la stessa fortuna scientifica delle ADR. Le forme di tutela “alternative” sono state costantemente al centro dell’attenzione giuridica e politica, ottenendo in prevalenza un consenso convinto; non comune nelle questioni che riguardano i diritti di difesa e le questioni amministrative. Gli studi in materia, anche con ampi saggi e monografie, si sono moltiplicati pure in Italia; dopo il profluvio di pubblicazioni nei sistemi giuridici anglo-americani. Le riforme normative recenti hanno in parte tenuto conto del movimento a favore di nuovi strumenti di tutela, anche se per lo più nelle tematiche civilistiche o di confine con il diritto pubblico. In alcune Autorità amministrative indipendenti si stanno sviluppando esperienze originali, ascrivibili alla tematica in esame anche se con molte peculiarità.

Tuttavia, malgrado il molto interesse scientifico e talune esperienze attuative di indubbia rilevanza, dopo tre lustri dall’inizio di questo fermento riformatore dobbiamo constatare che il fenomeno della tutela “alternativa” non è decollato; quanto meno, nella misura attesa. Anzi, alcuni recenti sviluppi nazionali (specie il dibattito sulla delega per la riforma del processo amministrativo) e comunitari (come l’attuazione della direttiva 66/07, in tema di ricorsi per gli appalti pubblici), indicano un precoce appassirsi del tema; prima ancora che avesse avuto modo di sbocciare appieno.

Il pendolo delle ADR è girato dunque in fretta dall’entusiasmo per queste nuove tecniche (si parlò di una loro “panacea” giuridica) alla delusione, con il ritorno alla giurisdizione. Pur in tempi di mutazioni giuridiche ed istituzionali veloci, non è detto che il tempo delle ADR si sia già concluso, e merita riflettere ancora sulle ragioni degli eventi accaduti e delle ulteriori prospettive che si aprono. Grazie a contributi scientifici approfonditi, come il libro di Giovannini, che esaminano il tema nella sua interezza e complessità abbiamo la possibilità di riconsiderare le ragioni di fondo del dibattito e le prospettive di questi istituti, sia “tecniche” che di tipo ordinamentale.

2. I motivi che in diritto amministrativo hanno determinato un grande interesse per le forme di tutela “alternativa” sono principalmente due, uno generale ed uno prettamente italiano.

La prima ragione sta nella dilatazione del contenzioso amministrativo ovunque manifestatasi dagli anni settanta dello scorso secolo. Il dilagare di questo contenzioso è dipeso da nuove organizzazioni giudiziarie che hanno reso la giustizia amministrativa (nozione per ora usata in modo ampio e non tecnico) più vicina ed accessibile agli interessati; dalla nuova consapevolezza dei propri diritti ed interessi nei confronti delle pubbliche amministrazioni; dall’emergere di nuovi interessi (ambientali, culturali, ecc.) e di nuove soggettività portatrici di tali interessi. In generale, è poi tipico di tutte le società avanzate il fenomeno dell’esplosione del contenzioso amministrativo, cui evidentemente non fa da argine significativo il corrispondente sviluppo del procedimento amministrativo (pur con le sue opportunità di tutela endoprocedimentale).

La dilatazione del contenzioso amministrativo non è poi solo un fenomeno settoriale del diritto pubblico, ma corrisponde alla tendenza generale della “giurisdizionalizzazione” delle controversie. La tendenza è avvertita in tutte le società in cui si è saldamente affermato il principio dello Stato di diritto (o, all’inglese, del rule of law); del quale uno degli esiti, quasi inaspettato, è risultata la causidicità.

La ragione di carattere nazionale sta nella crisi (o, vista da altro angolo, la mancata crescita) dei ricorsi amministrativi e delle altre forme di tutela preliminare o alternativa alla giurisdizione. Sin dall’unificazione amministrativa dell’Italia non sono mancate disposizioni a tale riguardo, ma l’esperienza è stata così deludente da portare in breve tempo all’esaurimento di ogni interesse per i ricorsi amministrativi; considerati niente più che passaggio necessario prima della giurisdizione, quando obbligatori; altrimenti obliati. A nulla è valsa la riforma del 1971, pur salutata all’epoca dall’interesse della scienza giuridica. Non è questa l’occasione per riprendere la discussione sui motivi del declino dei ricorsi amministrativi, salvo sottolineare ancora una volta lo stretto legame tra qualità dell’amministrazione ed effettività della tutela amministrativa. In breve, pur se i ricorsi amministrativi non hanno avuto in genere grandi risultati, è nel nostro ordinamento che i risultati sono stati tra i peggiori a causa della mancata acquisizione di uno spirito quasi judicial da parte delle amministrazioni contenziose.

I ricorsi amministrativi cui ci si è riferiti non comprendono il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, che mantiene una sua evidente vitalità. Le ragioni sono, come noto, essenzialmente pratiche per il termine di presentazione dei ricorsi doppio rispetto a quelli giurisdizionali; nonché per i costi ridotti. Ma non va sottovalutato il carattere squisitamente judicial di questo ricorso, ormai pienamente affidato alle cure del Consiglio di Stato e processualmente pressoché assimilato ai ricorsi giurisdizionali per garanzie e opportunità tecniche (es. eccezione di incostituzionalità), che giustificano con rinnovato vigore il tradizionale principio dell’alternatività rispetto ai ricorsi giurisdizionali. Proprio per tali motivi, il ricorso straordinario è sui generis e sfugge alla ricomprensione tra i tipici ricorsi amministrativi o le più recenti ADR, malgrado l’assonanza, più lessicale che sostanziale, dell’alternatività.

3. Il richiamo alla situazione così determinatasi consente di apprezzare facilmente perché in Italia, ed in genere in Europa (precisamente, nelle famiglie giuridiche di civil law), destò grande interesse l’arrivo dal mondo del common law delle forme di tutela “alternative”. Rilevarono in tal senso anche la tradizionale esterofilia del nostro mondo istituzionale giuridico, e l’apparente novità dei vari istituti comunemente riassunti nel novero delle ADR. Peraltro, avrebbe dovuto essere nota l’accesissima discussione sulle ADR nel mondo giuridico anglo-americano, ove importanti voci critiche avevano evidenziato la carica distruttiva di queste forme di tutela per una giustizia terza, imparziale ed autorevole (come i fenomeni di “giustizia in affitto” e, in genere, di privatizzazione di un’inalienabile funzione pubblica).

Da un punto di vista più tecnico, le ADR nel diritto amministrativo manifestano due principali criticità: in generale, non è pacifico che le principali forme (la mediazione, la transazione, la conciliazione) siano compatibili con il diritto applicabile alle pubbliche amministrazioni; soprattutto negli ordinamenti organizzati secondo il modello a “diritto amministrativo”. Le ADR risentono con tutta evidenza dell’essere state elaborate in contesti a “diritto comune”, ove le specificità giuridiche riconosciute all’amministrazione sono limitate. In secondo luogo, è improprio affermare che si tratti di forme “alternative” di tutela, in quanto se si intendesse tale principio in modo puntuale saremmo in presenza di previsioni probabilmente incostituzionali (es. art. 113).

4. Malgrado tutto, negli ultimi due decenni anche da noi si è molto parlato di ADR. Oltre che quali riforme originali che potevano superare le difficoltà dei tradizionali ricorsi amministrativi, le ADR sono apparse in linea con la “scoperta” della nozione di cattiva amministrazione ( la maladministration) e dei suoi possibili antidoti, come il mediatore e l’ombudsman. Erano poi in linea con altre innovazioni del diritto europeo, ad esempio negli appalti pubblici e nelle relative forme di tutela (cfr. i cenni contenuti nella prima direttiva “ricorsi” 89/665, ma soprattutto gli istituti previsti nella direttiva 92/13, appalti nei “settori esclusi”) che riconoscevano spazi nuovi ad istituti originali come l’attestazione, il meccanismo correttore e la conciliazione. Non per caso, a tali strumenti si dette credito in tutta l’Unione europea; ricordo in Italia un’importante iniziativa di approfondimento promossa dal Consiglio di Stato e dall’Istituto Internazionale di Scienze Amministrative. Ma anche un Rapporto di ampio respiro predisposto dal Conseil d’Etat (“Regolare altrimenti i conflitti” del 1993).

Alle vive discussioni scientifiche non hanno però fatto riscontro sviluppi significativi sul piano dell’effettività della tutela. È noto che la figura del mediatore (alias difensore civico, ombudsman e simili) in Italia non sta avendo il medesimo successo che in altri ordinamenti; l’incidenza degli accertamenti dei difensori civici sulle forme di cattiva amministrazione è quanto mai labile, sì che gli interessati devono di regola rivolgersi al giudice anche nei casi di accertata cattiva amministrazione (ed anche di vera e propria illegittimità amministrata, così constatata). L’esperienza dimostra che la politica dei “trapianti” giuridici non funziona quando l’ordinamento ricevente ha caratteri e tradizioni diverse. Nel caso, non si tratta di una delle manifestazioni della (in parte perdurante) diversità tra sistemi continentali e sistemi del nord Europa ed anglo-americani; dato che in un paese ad ordinamento latino come la Spagna il defensor del pueblo svolge con successo i suoi compiti. Quanto della nostra tradizione che considera la tutela essenzialmente una questione riservata alla giurisdizione, pur nella diffusissima critica all’operatività delle due giurisdizioni, civile ed amministrativa.  

Anche le originali forme di tutela previste dalla direttiva comunitaria sui ricorsi per gli appalti pubblici non hanno avuto alcun esito rilevante. Il dato questa volta non è solo italiano, ma comune a tutta Europa; come confermato dall’abbandono di questa parte della direttiva 89/665 in occasione dell’approvazione della seconda direttiva “ricorsi” (07/66), che rappresenta un ritorno alla linea della tradizione. E’ ivi previsto (art. 1, c.5) che “gli Stati membri possono esigere che il soggetto interessato proponga in primo luogo un ricorso presso l’amministrazione aggiudicatrice …”, così rivalutando la tradizione dei ricorsi amministrativi; mentre viene esplicitamente abbandonata la serie di novità “alternative” previste dalla citata direttiva 92/13, per asserita manifesta inutilità.

5. In parallelo al dibattito sulle ADR si sono avuti due sviluppi di diretta incidenza sul tema: nuove forme di tutela da parte delle Autorità amministrative indipendenti; una particolare attenzione del legislatore per il processo amministrativo, con significative riforme.

Il ruolo “giustiziale” delle Autorità indipendenti è ben noto, per quanto assai recente. In forme diverse tra le varie Autorità, queste assicurano procedimenti decisionali assai garantistici ed occasioni di tutela pregiurisdizionale (non alternativa alla giurisdizione) di carattere specializzato e con tempi di regola assai contenuti. Il Codice degli appalti pubblici (art. 6, c. 7, lett. n) ha previsto un nuovo procedimento davanti all’Autorità di vigilanza - poi disciplinato con regolamento dell’Autorità del 10.1.2008 – che sta dando buona prova. Lo stesso avviene, in forme diverse, anche presso le altre Autorità; in particolare presso l’AGCOM. Per tali caratteri si è addirittura discusso se per i provvedimenti delle Autorità non fosse opportuno limitare la tutela giurisdizionale ad un solo grado di giudizio, “catturando” le Autorità nel novero dei giudici; non in conseguenza della loro posizione istituzionale, ma per la qualità delle loro decisioni contenziose. La proposta è rimasta per ora senza esito, ma è espressiva della particolare considerazione che si riserva alle Autorità ed alle loro decisioni assunte in sede contenziosa. Tale conclusione non è smentita dalla circostanza che i maggiori provvedimenti delle Autorità finiscano all’esame giudice (nel caso, di regola, amministrativo), in quanto gli interessi in gioco sono così da alti da richiedere almeno una verifica giurisdizionale.  

L’ambito delle competenze delle Autorità, per quanto assai ampio in talune materie, è ovviamente lungi dall’essere generale; da qui la limitatezza quantitativa della loro esperienza, che vale invece specialmente sul piano qualitativo e di indirizzo. Pertanto, non è in contrasto con la loro esperienza che varie leggi sul processo amministrativo abbiano cercato, con successo, di razionalizzare e rendere più efficace la giustizia amministrativa: in particolare, la legge n. 205/2000 e le molte disposizioni sui riti processuali amministrativi “speciali”. Trattasi di leggi che, pur esprimendo una politica del diritto assai moderna ed interessante, risultano opposte (e davvero “alternative”, verrebbe da dire) alle forme di tutela amministrativa ed alle ADR. Migliorando la giurisdizione se ne accentua l’attrattività, a tutto scapito delle altre forme di tutela; con il paradossale effetto di un nuovo aumento del contenzioso che pure la velocizzazione e vari strumenti particolari hanno ridimensionato.

In particolare, la legge n. 205/2000 e le successive “minori” hanno migliorato sensibilmente la fase cautelare, anche con nuovi istituti – come la tutela ante causam – sino ad allora conosciuti solo nel diritto processuale amministrativo; ed ha rafforzato la possibilità per decisioni di merito assai rapide in materie “sensibili” per entrambe le parti del giudizio. Si conferma così che la possibilità di una tutela rapida ed efficace supera le principali motivazioni delle ADR, e l’idea di fondo che le ADR rappresentano un parziale rimedio alle situazioni di “giustizia giurisdizionale” inefficienti e gravose.

Nello stesso periodo si sono avuti ripetuti interventi su procedure speciali già previste normativamente e per istituirne di nuovi. Si è cercato così di modulare la giustizia amministrativa in funzione specifica degli interessi coinvolti dai diversi tipi di procedure – obbiettivo di grande civiltà giuridica – ma l’eccesso di procedure giurisdizionali speciali ha determinato esiti paradossali: crisi del modello generale di processo amministrativo (ammesso che davvero vi fosse), difficoltà di un’efficace difesa a fronte dei molti rischi e difficoltà delle nuove procedure, sommarietà delle decisioni per il prevalere della speditezza rispetto alla pienezza del contraddittorio e del giusto processo (inteso nel lato del diritto al pieno dispiegamento delle proprie ragioni).

Si può dunque molto discutere sulla bontà della valorizzazione dei riti speciali, ma ciò che ai presenti fini importa è che gli interessati hanno dovuto seguire queste procedure (o le hanno scelte, quando appropriate), lasciando da parte eventuali procedure “alternative”.                                                                                                                 

7. Insostanza, varie motivazioni convergenti, anche se di origine diversa, portano a riportare il pendolo della tutela sul versante della giurisdizione. Oltre a quanto già rilevato, è significativo di questo indirizzo di fondo quanto previsto all’art. 9F del Trattato di Lisbona che privilegia chiaramente la tutela giurisdizionale.

La stessa direzione è indicata anche da un’esperienza britannica, sinora ritenuta esemplare dell’utilità di forme diverse o alternative di tutela rispetto alla giurisdizione. E’ il caso degli Administrative Tribunals, istituiti a partire dagli anni trenta dello scorso secolo e fortemente irrobustiti con la riforma del 1957-58. Si tratta, ad onta del nome “Tribunali”, di organi amministrativi contenziosi, composti da funzionari ed esperti della materia, che esaminano ricorsi di merito più che di legittimità (i confini sono, come sempre, labili) delle pubbliche amministrazioni e dei vari soggetti ad esse assimilati perché holders of power. Per quanto esaminino la gran parte del complessivo contenzioso amministrativo (decine di migliaia di ricorsi), non erano considerati parte del giudiziario, ma dell’amministrazione. Una serie di riforme aveva progressivamente accentuato le garanzie di autonomia ed assicurato il rispetto del due process of law; ma, al più, si parlava gergalmente di mini-courts. I loro pregi (speditezza, specializzazione dei giudicanti, costi, assai ridotti) avevano sollecitato l’attenzione dei giuristi “continentali”, che parlavano dei Tribunals come della forma realizzata dell’amministrazione giustiziale.

È avvenuta però nel 2007 una riforma profonda che ha inserito i Tribunali nel sistema giudiziario britannico, pur con talune particolarità. Sono questi Tribunali – organizzati su due livelli e garantiti complessivamente da un Council – che trattano quasi esclusivamente le applications (o claims) for judicial review, e loro decisioni sono rivedibili dalle Corti. In sostanza, i Tribunals sono stati catturati dal sistema giudiziario e dai giuristi; con l’effetto, tra i tanti, di aver fatto venire meno un modello di amministrazione giustiziale che per decenni aveva incantato molti giuristi europei. I Tribunals continuano a chiamarsi “amministrativi”, ma tale qualificazione sembra più alludere, come da noi, alla competenza che alla loro posizione. 

8. Malgrado questi sviluppi, sarebbe profondamente sbagliato abbandonare la tematica della tutela non giurisdizionale, dato che, almeno in una prospettiva di medio-lungo periodo è necessario elaborare un modello di garanzie più ampie ed articolate per situazioni che siano peculiari rispetto al modello tipo di contenzioso amministrativo.

Se le ADR appaiono oggi un tema precocemente appassito è perché sono state per lo più trattate unitariamente, con un entusiasmo acritico che finiva per celarne le profonde differenze tipologiche e finalistiche. Il libro di Giovannini è una felice eccezione, perché aiuta ad evidenziare le differenze tra le varie tutele non giurisdizionali e le loro prospettive, conseguentemente diverse.

Occorre tornare a delimitare con precisione quali tra le svariate tecniche di tutela non giurisdizionale siano compatibili con il diritto delle pubbliche amministrazioni. Sinora si è molto parlato delle ADR e di consimili forme di tutela in termini funzionali, ponendo l’accento sui benefici che ne potevano discendere tanto per i privati che la stessa pubblica amministrazione. E’ giunto il momento di considerare invece l’ammissibilità di ciascuna di tale tecnica con il diritto delle pubbliche amministrazioni (non necessariamente il diritto amministrativo). Ciò che supererà tale vaglio si porrà probabilmente in modo più forte come effettivo strumento “alternativo” alla giurisdizione. A sua volta, la giurisdizione non ha, di per sé, nulla da temere dalle tecniche alternative perché queste non possono non rimanere in uno spazio limitato, utilizzate per questioni non centrali nel rapporto pubbliche amministrazioni-cittadini e società.