Esiste una competenza legislativa delle regioni per la disciplina delle opere di urbanizzazione?

MARIO P. CHITI

1. Nell’attuale decennio la disciplina giuridica della realizzazione delle opere di urbanizzazione (per il momento intese unitariamente, ovvero sia di primaria che di secondaria) ha subito una continua serie di modifiche, che fortunatamente sembrano giunte a conclusione con il terzo decreto correttivo ed integrativo (d.lgs. 11.9.2008, n. 152) del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/2006).

Le principali tappe di questa evoluzione sono state: 1) la sentenza della Corte di giustizia del 12.7.2001, causa C-399/98, con cui la realizzazione da parte del titolare della concessione edilizia delle opere di urbanizzazione “a scomputo” degli oneri di costruzione è stata assoggettata alle procedure ad evidenza pubblica di cui alla direttiva appalti pubblici di lavori (al tempo la direttiva 93/37); 2) la conseguente modifica alla legge n. 109/1994 ad opera della legge n. 166/2002 (art. 7, c. 1); 3) le previsioni dedicate al tema dal Codice dei contratti pubblici, nell’iniziale versione (il citato d. lgs. n. 163/2006) contrassegnate, nei casi di valore sopra soglia, da una procedura in cui il titolare del permesso di costruire può assumere la veste di promotore ed esercitare il diritto di prelazione, all’esito della gara. Sulla falsariga di quanto previsto per la procedura di finanza di progetto (art. 32, c. 1, lett. g); 4) la sentenza della Corte di giustizia 21.2.2008, causa C-412/04, che ha condannato l’Italia (in riferimento alla legge Merloni, anche per la parte sulle opere di urbanizzazione modificata con la citata legge n. 166/2002) per essere venuta meno agli obblighi scaturenti, nel caso in esame, dalla direttiva 93/37. Il punto contestato – malgrado che nel frattempo la legge Merloni fosse stata integralmente sostituita dal Codice dei contratti pubblici – era quello del criterio di calcolo degli interventi, ai fini del rispetto della soglia comunitaria; 5) l’avvio di un’ulteriore procedura di infrazione da parte della Commissione europea nei confronti dell’Italia (da sottolineare il particolare accanimento della Commissione, con comportamento ben diverso da quello seguito verso altri Stati membri) perché il Codice del 2006 non è stato ritenuto ancora in linea con le previsioni indicate dalla Corte di giustizia e (implicitamente) dalla direttiva 2004/18; specie per il ruolo del promotore ed il diritto di prelazione; 6) infine, il già citato terzo decreto correttivo del 2008, con cui si è cercato  -  a mio avviso, alquanto maldestramente – di prevenire una nuova condanna della Corte di giustizia a seguito della sopra citata seconda procedura di infrazione.

Alla già aggrovigliata situazione così determinatasi si è aggiunto dal 2001 il nuovo quadro costituzionale, profondamente modificato in senso regionalista dalla riforma dell’intero Titolo V° della Costituzione (legge cost. n. 3/2001). Della riforma interessa qua in particolare il nuovo quadro delle competenze legislative statali e regionali (art. 117 Cost., novellato), visto che il tema esaminato è quello delle eventuali competenze legislative delle regioni per la disciplina delle opere di urbanizzazione.

2. La materia è dunque fortemente incisa dal diritto europeo e, nel nostro ordinamento, una variante del problema generale delle competenze legislative delle regioni in tema di contratti pubblici.

Già nella vigenza del precedente Titolo V° della Costituzione si era posto il problema del ruolo delle regioni, prendendo spunto dai “lavori pubblici di interesse regionale”, una delle materie affidate alle regioni dall’allora art. 117 Cost. Con una valutazione assai limitativa del ruolo delle regioni, stante la specificità di quel tema e, soprattutto, per una lettura fortemente statalistica delle competenze afferenti al diritto civile, quali i contratti.

La riforma del 2001 ha introdotto rilevanti novità, sia per il mutato quadro generale delle competenze ed il ribaltamento della centralità legislativa statale a favore di quella delle regioni; sia per i molti riferimenti al tema dei contratti che nel nuovo art. 117 Cost. si ritrovano direttamente e indirettamente. La normativa statale riconosce in generale tale ruolo, come risulta dallo stesso Codice dei contratti pubblici in cui (art. 4, c. 4) esiste una norma di “cedevolezza” delle norme codicistiche statali rispetto a quelle regionali, nelle materie di competenza normativa regionale, concorrente o esclusiva.

Malgrado il diverso quadro costituzionale, l’evento più significativo è risultato il citato Codice dei contratti pubblici che, come già il nome lascia intendere, sistema unitariamente l’intera materia prima oggetto di svariate norme; introducendo poi molte novità.

A sua volta, il Codice è stato l’esito degli sviluppi del diritto comunitario su gli appalti pubblici, ed in particolare delle direttive nn. 17 e 18 del 2004. Come noto, il diritto comunitario aveva iniziato a trattare gli appalti pubblici solo dagli anni settanta dello scorso secolo; dapprima in modo “leggero”, successivamente con direttive sempre più dettagliate ed esaustive della materia, a causa della ritrosia degli Stati membri ad accettare l’armonizzazione della disciplina degli appalti, necessaria al mercato interno. Le direttive in materia erano diventate così molteplici e poco coordinate da rendere necessaria una loro sistemazione in due sole direttive organiche, la più importante destinata ai settori ordinari (la n. 18/2004); la seconda (n. 17/2004) ai residui settori speciali, noti anche nella risalente espressione di “settori esclusi”. L’intervento comunitario non si è limitato alla disciplina sostanziale, estendendosi anche alla disciplina processuale e della tutela con la seconda direttiva “ricorsi” 07/67 (il cui termine di attuazione da parte degli Stati membri è previsto per il 31 dicembre del 2009).

Per tali motivi, se da un lato con la riforma costituzionale del 2001 sembravano aprirsi nuove opportunità per le regioni, dall’altro la disciplina statale si è rafforzata sia in termini di estensione e spessore, sia soprattutto per la diretta base comunitaria della nuova legislazione. Va inoltre aggiunto che da tempo (le ragioni dei lenti svolgimenti della procedura sono oscure) si attendono i vari regolamenti e capitolati attuativi del Codice, ed in particolare il regolamento generale previsto dall’art. 5. Quando l’intero sistema normativo previsto dal Codice sarà attuato e vigente, il diritto statale coprirà pressoché integralmente la materia.

Ancora, merita ulteriormente sottolineare che la base comunitaria del Codice e dei suoi tre decreti integrativi è particolarmente evidente tanto nell’iniziale base giuridica, quanto nelle modifiche successivamente intervenute; che traggono prevalentemente origine da sentenze della Corte di giustizia o da procedure di infrazione della Commissione. Il caso delle opere di urbanizzazione, qua esaminato, è tra i più eclatanti di questa influenza europea. La Corte di giustizia ha infatti ritenuto che la realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione – da sempre ritenuta questione di diritto nazionale connessa all’urbanistica – non sfugge alla disciplina comunitaria degli appalti pubblici.   

3. La complessità del tema “contratti pubblici” ha indotto ad una lettura delle competenze statali e regionali non in termini di materia, ma come problematica trasversale in cui sussistono certamente – con gradi diversi – aspetti di esclusiva spettanza statale, quali la concorrenza e l’ordinamento civile.

Comunque anche questa problematica non poteva non essere portata all’esame della Corte costituzionale, su cui è ricaduta la responsabilità di fare chiarezza sulle ambiguità del novellato Titolo V° della Costituzione; ed in particolare sul confuso sistema della competenze legislative.

Le principali sentenze della Corte costituzionale in materia sono la n. 401/2007; la n. 431/2007 e la più recente n. 411/2008. La prima sentenza ha “salvato” il Codice dei contratti pubblici dalle critiche più demolitorie delle regioni, ma lasciava aperta a successivi giudizi la sorte di particolari questioni; anche di rilevante spessore. La seconda già scendeva a trattare tematiche più particolari; nuovamente confermando il ruolo dello Stato. La n. 411/2008, assunta su un caso relativo a Regione speciale (la Sardegna), risulta conclusiva sul problema delle competenze; in senso statale.

Le risultanze principali di questo indirizzo giurisprudenziale – da considerare ormai irreversibile – sono le seguenti: a) la tematica dei contratti pubblici costituisce un “blocco di materia”, con prevalenza della legge statale; b) rilevano specialmente due materie di competenza statale esclusiva quali la tutela della concorrenza, connessa alle regole sull’evidenza pubblica, e l’ordinamento civile, connessa alla disciplina del contratto e della sua esecuzione; c) la disciplina, anche qua necessariamente statale, della tutela giurisdizionale e non.

Per la più recente sentenza (n. 411/2008) della Corte costituzionale, “la disciplina degli appalti pubblici, intesa in senso complessivo, include diversi ambiti di legislazione, che si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono: in essa pertanto si profila una interferenza tra materia di competenza statale e materie di competenza regionale, che, tuttavia, si atteggia in modo peculiare, non realizzandosi normalmente un intreccio in senso stretto; ma con la prevalenza della disciplina statale su ogni altra fonte normativa in relazione agli oggetti riconducibili alla competenza esclusiva statale” (che sono individuati, come detto, nella tutela della concorrenza e nell’ordinamento civile).

4. Dopo la premessa sul quadro generale delle competenze legislative sui contratti pubblici, si può passare all’esame specifico del caso della disciplina della realizzazione delle opere di urbanizzazione.

Al proposito, il dato più eclatante è dal 2001 (con la già citata sentenza Corte di giustizia nella causa C-399/98) la “comunitarizzazione” dei principi applicabili, con spazi sempre più ridotti per il legislatore nazionale.

Il caso esaminato dal giudice comunitario riguardava proprio la normativa italiana, a seguito del rinvio pregiudiziale del TAR Lombardia nel ricorso presentato dall’Ordine degli Architetti di Milano sul progetto del nuovo Teatro degli Arcimboldi alla Bicocca di Milano. La Corte aveva concluso che, ad onta di tutte le particolarità del caso, la realizzazione diretta di un’opera di urbanizzazione, secondo l’allora normativa urbanistica italiana, costituisce appalto pubblico di lavori ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 93/37.

La sentenza comunitaria – che pur occasionata dalla nostra disciplina poneva un principio vincolante tutti gli Stati membri, come accade nel vaso di procedura di rinvio pregiudiziale (art. 234 TCE) – è stata per lo più criticata, anche in modo pesante. Così uno dei maggiori studiosi europei di diritto urbanistico (Tomas Ramon Fernandez) ha qualificato la sentenza come “una cattiva decisione” per erroneità delle varie motivazioni assunte dal giudice comunitario, a partire dalla qualificazione come contratto pubblico di opere – ai sensi delle direttive comunitarie – della realizzazione diretta di opere di urbanizzazione.

Malgrado le critiche, la Corte non ha arretrato di una spanna; come indicato dalla sentenza 21.2.2008, causa C-412/04, in cui – dopo avere confermato il precedente giudizio – si è diffusa nello stabilire le condizioni per un corretto frazionamento in lotti del complessivo intervento, al fine di non vanificare le “soglie” di rilevanza comunitaria.

Certamente la posizione della Corte di giustizia è stata determinata non dai soli argomenti giuridici (come detto, assai discutibili), ma dal timore che attraverso il varco delle opere di urbanizzazione gli Stati membri possano sottrarre alle regole comunitarie – e quindi al mercato unico – intere categorie di opere pubbliche.

5. Prendendo necessariamente atto della sentenza comunitaria del 2001, il legislatore italiano era intervenuto con la legge 1.8.2002, n. 166, recante “Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti”, il cui art. 7, comma 1, sostituiva l’art. 2, comma 5, della legge n. 109/1994 (Legge Merloni, al tempo vigente). Secondo la novella, nel caso di interventi eseguiti direttamente dai privati a scomputo di contributi connessi all’attività edilizia o alla lottizzazione di aree, in caso di importi superiori alla soglia comunitaria, anche i privati sono tenuti ad affidare le opere nel rispetto delle procedure di gara previste dalla direttiva su gli appalti pubblici di lavori (al tempo la direttiva 93/37).

6. La Corte costituzionale è successivamente intervenuta in due occasioni, su giudizi di costituzionalità di leggi regionali promossi dal Governo per contestare le previsioni relative al tema delle opere di urbanizzazione.

Il primo ricorso ha avuto per oggetto la l.r. Lombardia n. 12/2005, nella parte relativa alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, che il Governo riteneva in contrasto con i principi posti dalla Corte di giustizia nella citata sentenza 12.7.2001. Precisamente, il caso esaminato riguardava gli accordi che i privati, proprietari di aree destinate ad essere espropriate per la realizzazione di attrezzature e servizi pubblici, possono stipulare con il comune competente; in base ai quali il proprietario può realizzare direttamente tali interventi.

Secondo la Corte costituzionale (sentenza 28.3.2006, n. 129), anche al proprietario espropriando che si accorda a tal fine si applica la qualifica di titolare di un mandato espresso conferito dal comune; soggetto alla conclusione raggiunta dalla Corte di giustizia. Nella motivazione, la Corte è stata puntuale a delimitare l’incostituzionalità alla mancata previsione nella legge regionale dell’obbligo, nei casi indicati, di seguire le procedure ad evidenza pubblica; senza che ciò possa inficiare la legittimità degli accordi tra privati e pubblica amministrazione. Anche nel secondo giudizio – sfociato nella sentenza 13.7.2007, n. 269, avente ad oggetto la l. prov. Trento 5.9.1991, n. 22, modificata dalla l. prov. n. 11/2006 – la Corte costituzionale ha riaffermato il principio con identica motivazione. In ambedue i casi, il diritto comunitario, come interpretato dalla Corte di giustizia, è risultato prevalente sul diritto nazionale in quanto, secondo la Corte costituzionale, “le direttive comunitarie fungono da norme interposte atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformità della normativa regionale all’ordinamento comunitario, in base all’art. 117, comma 1, e 11 Cost., quest’ultimo inteso quale principio fondamentale”.

La novità è stata oggetto di molte e condivisibili critiche, principalmente perché il titolare del permesso di costruire non avrà la possibilità di gestire unitariamente il proprio cantiere; ed anche perché si riversa sul privato un onere procedurale complesso, già oneroso per le amministrazioni aggiudicatici.

8. Ritornando specificamente alla nostra problematica, alla luce dei principi di diritto comunitario e della puntuale applicazione fattane dalla Corte costituzionale proprio in riferimento a difformi previsioni contenute in leggi regionali, è palese che gli spazi delle regioni per interventi legislativi nella materia delle opere di urbanizzazione sono davvero esigui.

La questione principale ai presenti fini (osservanza delle procedure ad evidenza pubblica relative alla qualificazione e selezione dei concorrenti, alle procedure di affidamento ed ai criteri di aggiudicazione) è ormai definita irreversibilmente dal diritto comunitario. Per il versante nazionale, il Codice dei contratti pubblici – tanto nella versione iniziale del 2006, quanto come modificato dal terzo decreto correttivo (d. lgs. n. 152/2008) – sviluppa i principi comunitari con previsioni procedurali che sono intangibili dalle regioni, in quanto connesse alla tutela della concorrenza. A risultati non diversi, pur se su base diversa, si perviene anche nel caso in cui avesse seguito la giurisprudenza secondo cui l’obbligo della procedura ad evidenza pubblica non vale in caso di opere di urbanizzazione destinate al pubblico, ma che rimangono private e su un’area anch’essa privata (TAR Puglia, I, 30.1.2009, n. 157). Il TAR Puglia ha segnato una non banale linea distintiva tra opere di urbanizzazione a scomputo degli oneri di urbanizzazione ed interventi edilizi destinati a servizi collettivi da realizzarsi direttamente dal privato proprietario dell’area, che rimane poi proprietario delle nuove opere. Nel secondo caso non saremmo di fronte alla realizzazione di opere pubbliche, né di opere di urbanizzazione (variante delle opere pubbliche), ma “di esercizio dello jus aedificandi da parte del proprietario, nel rispetto della destinazione ad uso collettivo dell’intervento edilizio”. È difficile prevedere se la conclusione della sentenza del TAR Puglia sarà seguita da altri Tribunali amministrativi; ma anche se così fosse, rimarrebbe ferma la competenza statale in quanto connessa all’ordinamento civile, di cui lo jus aedificandi è snodo rilevante. Risulta dunque poco comprensibile l’insistenza di varie regioni a voler recuperare spazi di disciplina legislativa della materia, visto che eventuali previsioni difformi dai rigidi paletti sopra descritti sarebbero disapplicabili direttamente da qualsiasi soggetto responsabile delle relative procedure, o destinate ad essere dichiarate incostituzionali; in ambedue i casi per vizio di anticomunitarietà.

9. Ciò che particolarmente si attende dalle regioni è un indirizzo ai comuni per l’interpretazione e l’attuazione conforme della nuova normativa, onde evitare un’assurda pluralità di criteri anche in territori contigui.

Alcuni tra i Comuni maggiori si sono già mossi per proprio conto, assumendo delibere generali per l’attuazione del d.lgs. n. 152/2008; ma è auspicabile che siano le regioni a provvedere in tal senso, omogeneamente per l’intero territorio regionale. Meglio ancora se ciò avvenisse per l’intero territorio nazionale attraverso forme di autocoordinamento tra le Regioni, o per il tramite della Conferenza. Sinora, per quanto è dato sapere, si è mossa in questo senso solo la Regione Veneto (delibera G.R. n. 436 del 24.2.2009) con indicazioni assai condivisibili anche nel merito. Malgrado che tali atti di indirizzo non siano vincolanti per i comuni, contribuiscono sicuramente ad un’applicazione uniforme e razionale della difficile normativa.

10. Per concludere, merita ribadire che dei problemi connessi alla nuova disciplina delle opere di urbanizzazione avremmo fatto volentieri a meno, dato che il tradizionale sistema della realizzazione di tali opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione rispondeva all’esigenza di procedure semplici ed efficaci; ed assicurava un equo contemperamento tra gli interessi privati della proprietà e gli interessi pubblici, nel caso principalmente facenti capo al comune. Ma la Corte di giustizia - presa da discutibile zelo di comunitarizzare anche questioni di carattere nazionale - ha, come detto, deciso diversamente nel 2001; ed è successivamente rimasta ferma sulle proprie posizioni, malgrado le critiche espresse dai maggiori studiosi europei.

Considerando la questione ormai irreversibilmente segnata, si tratta di gestire al meglio l’attuazione della recente normativa risultante dal d. lgs. n. 152/2008 (modificativo ed integrativo del Codice dei contratti pubblici); che non è certo perspicua per chiarezza e sistematicità. In questo senso, vanno sollecitate le regioni a non attardarsi in tentativi per proprie leggi in materia – impossibili giuridicamente, come sopra spiegato, per carenza di competenza – ed invece a definire urgentemente criteri guida per l’interpretazione uniforme della normativa statale. Con l’ausilio dei comuni e della loro Associazione.

Meglio ancora se ciò avvenisse non autonomamente da parte delle singole regioni, ma attraverso il coordinamento regionale; così da evitare il paradosso che una normativa sostanzialmente imposta dall’Unione europea per assicurare il mercato interno uniforme finisca per avere applicazione differenziata tra le singole regioni di uno stesso Stato membro.