Un limite alla discrezionalità dell’Amministrazione quando travalica nell’arbitrio: un’interessante pronuncia del Consiglio di Stato

M.M.

Con la sentenza del 21 aprile 2009, n. 2399, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ritorna sul tema dei limiti alla discrezionalità dell’Amministrazione in fase di predisposizione della lex specialis. È infatti del tutto pacifico essere ammessa la possibilità, per la stazione appaltante, di stabilire requisiti di ammissione che, pur nell’osservanza della normativa in materia, siano rispetto ad essa più stringenti; purchè, tuttavia, ciò sia motivato in relazione a specifiche esigenze della stazione appaltante, riconducibili al miglior perseguimento dell’interesse pubblico, e più in generale esse non risultino sproporzionate o irragionevoli, anche con riguardo al principio di massima partecipazione e tutela della concorrenza. Pertanto (cfr.Consiglio di Stato, sez. IV, 12 giugno 2007, n. 3103), “l'esercizio del potere discrezionale della pubblica amministrazione di fissare i requisiti di partecipazione alla singola gara, rigorosi e superiori rispetto a quelli previsti dalla legge, costituisce precipua attuazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, sanciti dall'art. 97, cost. e si sostanzia quindi nel potere-dovere assegnato all'amministrazione di apprestare (proprio mediante la specifica individuazione dei requisiti di ammissione e di partecipazione ad una gara) gli strumenti e le misure più adeguati, opportuni, congrui, efficienti ed efficaci ai fini del corretto ed effettivo perseguimento dell'interesse pubblico concreto, oggetto dell' appalto da affidare: le scelte così operate dall' amministrazione aggiudicatrice, ampiamente discrezionali , impingono nel merito dell'azione amministrativa e si sottraggono, pertanto, al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non siano ictu oculi manifestamente irragionevoli, irrazionali, arbitrarie, sproporzionate, illogiche e contraddittorie”.

La pronuncia in commento conferma la sussistenza di tale facoltà, ma ne evidenzia compiutamente i limiti: “la discrezionalità dell’Amministrazione in sede di predisposizione dei requisiti di ammissione delle imprese alle gare d’appalto, per quanto ampia è pur sempre limitata da riferimenti logici e giuridici che derivano dalla garanzia di rispetto di principi fondamentali quali quelli della più ampia partecipazione e del buon andamento dell’azione amministrativa”.
La ricorrente in primo grado, nel caso in esame, aveva impugnato il bando di gara evidenziando che la stazione appaltante aveva annoverato, fra le cause di esclusione, anche la presenza di contenziosi pendenti con l’Amministrazione stessa alla data di presentazione delle offerte in gara.
Tale fattispecie ricalca fedelmente il caso già sottoposto all’attenzione del Consiglio di Stato in occasione della decisione della sez. VI, n. 4060 del 19 luglio 2007.
Già in quella occasione, il giudicante aveva ritenuto che tale previsione si ponesse come “condizione generale preclusiva per l’accesso alla gara”, andando ad implementare quindi le fattispecie già previste dall’art. 75 d.p.r. 554/99 (applicabile ratione temporis, oggi art. 38 d.lgs. 163/2006): da cui, la ritenuta illegittimità, dal momento che i requisiti generali di ammissione sono “prescrizioni ispirate a ragioni di ordine e sicurezza pubblica, incidenti sulla sfera di capacità dell’imprenditore ad acquisire la qualità di affidatario di lavori pubblici, l’introduzione di ulteriori limiti oltre quelli stabiliti dal diritto comunitario… resta riservato al legislatore nazionale, così che i casi previsti dalla disposizione in esame hanno carattere tassativo e non possono essere integrati ad libitum dalla stazione appaltante”.
In altre parole, la stazione appaltante, se può prevedere requisiti più stringenti per l’accesso alle procedure pubbliche, non può tuttavia spingersi a integrare i requisiti generali, già stabiliti (cfr.art. 38 d.lgs. n. 163/2006) da norma, poiché derogatoria al principio di massima partecipazione, eccezionale.
I requisiti a carattere generale, con speciale riguardo a quelli incidenti sulla moralità professionale, sono sostanzialmente riservati alla legge. E d’altronde, ad avviso della Sezione, “la clausola … si pone in contrasto con l’art. 24 Cost., che riconosce la piena tutela in giudizio dei diritti e degli interessi… e con l’art. 41 Cost. relativo ai diritti di iniziativa economica e di libertà di impresa”, poiché “la semplice esistenza di un contenzioso in atto non è affatto indice della inaffidabilità dell’impresa, potendo la lite chiudersi a favore della stessa”.
Una siffatta diagnosi di inaffidabilità, sostiene Palazzo Spada, è affidata dall’ordinamento alla normativa speciale sul punto, costituita oggi in particolare dall’art. 38 d.lgs. 163/2006 e in precedenza dall’art. 75 d.p.r. 554/99 (e analoghe disposizioni per servizi e forniture), senza quindi che la stazione appaltante possa interferire in proposito. Clausole del genere – si aggiunga – possono far sorgere più di un dubbio sui reali intenti dell’amministrazione: è infatti evidente che, da una parte, esse sembrano avere portata più sanzionatoria del contenzioso che finalizzata al pubblico interesse; dall’altra, vi è il rischio, altrimenti modo, di consentire una selezione poco trasparente, finalizzata all’impedire la partecipazione a concorrenti sgraditi, previamente individuati.
Discrezionalità si, concludendo, ma non in tema di requisiti generali connessi alla moralità professionale.