Mario P. Chiti - La legittimazione per risultati dell’Unione europea quale “comunità di diritto amministrativo”

Sommario: 1. Introduzione. 2. La rilevanza dei valori dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali per la legittimazione dell’Unione europea. 3. La legittimità democratica dell’Unione e i suoi limiti. 4. Lo stato del diritto dell’Unione in tema di democrazia e valori democratici. 5. La tesi delle due forme complementari di legittimazione dell’Unione. 6. La legittimazione per risultati. 7. Il contributo della Corte di giustizia. 8. Le basi costituzionali dell’amministrazione europea. 9. La legittimazione per risultati variante della legittimazione attraverso il diritto.

1.                 La legittimazione della Comunità europea (CE) e, poi, dell’Unione europea (UE) è stata assai discussa sino dai primordi dell’integrazione europea negli anni cinquanta dello scorso secolo, ma con risultati non definitivi né soddisfacenti. Il dibattito si riaccende ad ogni evoluzione dell’UE, come a seguito del recente riassetto della governance europea causato dalla crisi economica e finanziaria. La questione assume oggi ancora più pregnanza a fronte della presente disaffezione di una rilevante parte della società europea per il processo di integrazione.

Per quanto le posizioni del dibattito siano assai variegate, è largamente condivisa la conclusione sul “deficit democratico” dell’UE; divenuta motivo costante, sistematicamente ribadito pur a fronte di rilevanti modifiche del sistema dell’Unione.

La tesi qua proposta è che occorre integrare la tradizionale visione della legittimazione dell’UE, quale legittimazione democratica da partecipazione e rappresentanza, con la diversa forma di legittimazione detta da output/risultati. Si tratta di un’interpretazione presente sin dall’istituzione della CECA, ma che ha assunto di recente una precisa valenza giuridica in virtù dello sviluppo dei Trattati, del diritto derivato e della recente giurisprudenza della Corte di giustizia.

A differenza di alcune posizioni che, estremizzando, focalizzano su questa particolare legittimazione il sistema dell’Unione, la tesi qua esposta considera carattere tipizzante dell’Unione la compresenza delle due forme di legittimazione, democratica e da partecipazione; l’una strettamente imbricata con l’altra.

Ne consegue una visione assai meno critica di quella dominante, incentrata sul deficit di legittimazione democratica. Tuttavia, l’Unione rimane assai carente sui entrambi i versanti considerati, sì da richiedere sostanziosi interventi; ben possibili anche in vigenza degli attuali trattati. La proposta è per un appropriato sviluppo qualitativo dell’amministrazione diretta dell’Unione e delle amministrazioni degli Stati  nell’Unione operanti in senso comunitario; strumento essenziale per il conseguimento di effettivi risultati pubblici.

Lo studio è articolato in quattro parti. La prima esamina l’approccio originario alla questione, incentrato sullo sviluppo nella CE/UE dei principi dello Stato di diritto e di democrazia. La seconda presenta la tesi della compresenza delle due forme di legittimazione. La terza approfondisce il tema della legittimazione da risultati, con riferimenti alla recente normativa ed alla giurisprudenza. La quarta esamina la vivace discussione sulle proposte di legittimazione per risultati. La parte conclusiva, infine, si incentra sul ruolo del diritto amministrativo nel processo di rifondazione dell’Unione.

2.                 La questione della legittimazione del sistema europeo è stata inizialmente incentrata sul ruolo del valori dello Stato di diritto e sul rispetto dei diritti umani. Il percorso, rapido ed incisivo, è sfociato nella conclusione che la CE costituisce una “comunità di diritto” – secondo la nota definizione della Corte di giustizia nella sentenza Parti Ecologiste Les Verts, 23.4.1986,C-294/83. Precisamente: “una comunità di diritto nel senso che né gli Stati che ne fanno parte né le sue istituzioni sono sottratti al controllo della conformità dei loro atti alla carta costituzionale di base costituita dal Trattato” (punto 23 della sentenza ora citata). Affermazione poi costantemente ribadita, come nell’importante caso Kadi (Commissione e altri/Kadi, C-584/10; C-593/10[1]) e nei successivi casi Inuit, C-583/11[2] e Telefonica, C- 274/12[3].

La qualificazione della CE/UE quale “comunità di diritto” ha costituito uno dei maggiori progressi nella giurisprudenza della Corte di giustizia per la “costituzionalizzazione” della CCE/CE dopo la sua istituzione quale atipica organizzazione internazionale. Inoltre, come emerge chiaramente dalla sua giurisprudenza, la Corte di giustizia non ha fatto riferimento allo Stato di diritto in quanto “mero requisito formale e procedurale, bensì quale valore sostanziale; specificando che lo Stato di diritto implica che le istituzioni UE sono soggette al controllo giurisdizionale della conformità dei loro atti non solo rispetto ai Trattati, ma anche rispetto ai principi generali del diritto, di cui fanno parte tra l’altro i diritti fondamentali”[4].

            Nel diritto primario della CE, il riferimento allo Stato di diritto ed alla tutela dei diritti fondamentali compare per la prima volta nelle Disposizioni comuni del Preambolo al Trattato di Maastricht del 1992, con un riferimento ambiguo al valore della democrazia[5], che ben dopo era emerso nel contesto della CE. Con lievi variazioni lessicali il riferimento permane nel successivo Trattato di Amsterdam e nel vigente Trattato di Lisbona (art. 2 TUE), così confermando che lo Stato di diritto è “un denominatore comune del moderno patrimonio costituzionale europeo” (così l’Allegato 1 della comunicazione della Commissione al Parlamento europeo dell’11.3.2014).

I principi dello Stato di diritto che hanno particolare rilevanza ai presenti fini sono il principio di legalità; il principio di certezza di diritto; il principio di eguaglianza di fronte alla legge; il principio del divieto di arbitrarietà del potere esecutivo; il principio del controllo giurisdizionale indipendente ed effettivo. E’ evidente che il loro rispetto sostanziale vale di per sé a ridimensionare buona parte delle critiche sulla pretesa carenza di legittimazione della CE/UE. Tanto più che, ben prima che nel diritto dei Trattati, i diritti fondamentali erano stati individuati dalla Corte di giustizia come parte integrante dei “principi generali di cui la Corte garantisce l’osservanza” (Stauder, 12.11.1969, C-29/69). La salvaguardia di questi diritti, “pur essendo informata alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, va garantita entro l’ambito della struttura e delle finalità della Comunità” (Internationale Handelsgesellschaft, 17.12.1970, C-11/70).

3.                 Successivamente al riconoscimento dei valori dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali[6], è emersa la questione della legittimità democratica (anche semplicemente la “questione democratica”) della CE/UE come sviluppo inevitabile della visione sistemica della Comunità quale “ordinamento giuridico di nuovo genere a favore del quale gli Stati membri hanno rinunziato, anche se in settori delimitati, ai loro poteri sovrani; ordinamento che riconosce come soggetti non soltanto gli Stati membri, ma anche i loro cittadini” (così la celebre sentenza Van Gend & Loos, 5.2.1963, C-26/62).

I valori ed i principi dello Stato di diritto (ovviamente anche nelle varianti Rule of Law e Rechtsstaat) e della democrazia sono connessi; ma non equipollenti. In ogni caso è necessaria la sinergia tra i due valori, che si completano l’un l’altro. Come affermato giustamente dalla Commissione, “non può esistere democrazia e rispetto dei diritti fondamentali senza rispetto delle Stato di diritto e viceversa. (…) Lo Stato di diritto è la spina dorsale di ogni democrazia costituzionale moderna” (così la già citata Comunicazione al Parlamento europeo del 11.3.2014[7]).

Un percorso simile è avvenuto anche nel Consiglio d’Europa, organizzazione distinta dall’UE ma operante “al suo fianco”, la cui attività si incentra su tre pilastri: i valori dello Stato di diritto, la tutela dei diritti fondamentali e la democrazia (cfr. il Preambolo della CEDU e l’art. 3 dello Statuto del Consiglio d’Europa[8]). Le iniziative del Consiglio d’Europa hanno influenzato anche ordinamenti di Stati non membri dell’UE (o non ancora membri), come alcuni Paesi ex socialisti e la Turchia, confermando che le organizzazioni internazionali possono avere un ruolo pro-attivo nel diffondere e sostenere i valori della democrazia. Di particolare rilievo nell’ambito del Consiglio d’Europa, il contributo della Commissione di Venezia[9] per arricchire la CEDU con la definizione dello Stato di diritto, “componente intrinseca di ogni società democratica”.

La correlazione, ma al contempo la non sovrapposizione, tra democrazia e Stato di diritto è ribadita dalla scienza giuridica[10]. Per tutti, il giudice britannico Tom Bingham che tratta del rapporto tra i due principi ed il tema dei diritti umani e richiama le posizioni della Commissione UE sulla “inseparabile connessione” tra democrazia, Rule of Law e rispetto dei diritti umani[11].

            Sono chiare le ragioni principali della questione democratica: l’ampliamento delle competenze CE/UE; l’accentuazione della “sovranazionalità” della CE/UE; l’incidenza diretta dell’azione CE/UE anche sui singoli; il ruolo dell’individuo al centro dell’ordinamento UE. Quest’ultima ragione è la principale, secondo un percorso giurisprudenziale segnato dal principio del diretto effetto per i diritti dei singoli[12], e dal riconoscimento dei diritti fondamentali; poi confermato nei Trattati e rafforzato con le previsioni sulla cittadinanza europea e con la Carta dei diritti.

            La discussione sulla questione democratica si è accentuata dopo il Trattato di Lisbona, che pure rafforza il ruolo del Parlamento europeo (PE), dei parlamenti nazionali in funzione europea, della partecipazione e tutela dei singoli. La circostanza può apparire contraddittoria, ma in realtà è pienamente giustificata dal fallimento della “Costituzione europea” del 2004, ove il tema trovava un inquadramento sistematico; da ulteriori cessioni di sovranità e da un modello istituzionale ben lontano da qualsiasi forma di controllo diretto, se si esclude il Parlamento europeo.

            Effettivamente, il Trattato di Lisbona non risolve in modo compiuto le questioni sottese all’art. 2 TUE[13] e in varie parti del TFUE (l’UE come ordinamento basato sui valori ivi indicati, e che realizza i suoi fini principali attraverso il “federalismo di esecuzione”). Ha destato grandi aspettative, ma i risultati sono stati limitati.

            Da qui il lamento diffuso, divenuto vulgata, sul “deficit democratico” dell’UE. Come sostenuto da uno dei più noti giuristi[14], non c’è nessun atto civico del cittadino europeo con cui questo possa influenzare direttamente l’esito di qualsiasi scelta politica dell’Unione. Nella pratica effettiva dell’Unione non si realizzano i due principi fondamentali della democrazia: il principio di responsabilità (accountability) e di rappresentanza. Diffusa è inoltre la tesi che l’indirizzo politico dell’UE non è dato da organi democraticamente eletti e responsabili direttamente davanti al corpo elettorale, elemento essenziale della democrazia.

            Le interpretazioni ora richiamate manifestano rilevanti limiti. Ci si riferisce di regola ad una nozione generale di democrazia quale valore fermo ed assoluto, ed alla democrazia nel quadro della tradizionale forma Stato. Non si considerano a sufficienza le peculiarità dell’UE come originale, inedita forma di pubblico potere sovranazionale. Tra l’altro, rimane senza adeguata spiegazione il ruolo del Consiglio europeo e della sua intrinseca rappresentatività delle constituencies nazionali di cui è espressione.

            Ma preme qua richiamare che la democrazia non è una “invariante”, bensì una variabile dei diversi contesti ordinamentali e delle varie società, culture (le “diversità culturali”), economie. Il punto è correttamente posto in varie posizioni recenti posizioni recenti, come la risoluzione dell’ONU del risoluzione 24.10.2005[15]; la sentenza del  BVG, 30.6.2009[16] (caso “Lisbona”); e vari autori[17]. Emerge così una giusta insoddisfazione per definizioni unidimensionali di democrazia, che in verità va coniugata con la diversità dei livelli, delle culture, dei contesti istituzionali.

            A fronte della poliedrica nozione di democrazia, esiste comunque un nucleo indefettibile di principi che la connotano, quali l’autodeterminazione politica; il pluralismo; il governo rappresentativo; taluni elementi di democrazia diretta; la separazione dei poteri; la tutela dei diritti. Si può dire con fondatezza che nell’UE questi principi non sono assicurati, così da suffragare la tesi del deficit di legittimazione? Nei paragrafi seguenti si vedrà che la corretta risposta è largamente negativa.

            Se è vero che la democrazia non è valore assoluto, ma che si articola variamente nei vari tipi di ordinamenti, a sua volta connotandoli (variante di essi ed al contempo loro primaria “forma”), rileva la questione della natura giuridica dell’UE. Cui però è impossibile, allo stato, dare una compiuta risposta; anche le più raffinate interpretazioni sono segnate da vaghezze, oppure hanno carattere descrittivo. Pure le tesi dell’UE quale “compendio costituzionale di Stati e unione di cittadini/Staatenund Buergerverbund[18].

E’ certo comunque che se l’UE non è uno Stato, in nessun senso giuridico preciso, la sua legittimazione deve essere fondata in modo autonomo rispetto alla normale legittimazione degli Stati membri. In particolare, tenendo conto del tipico carattere dell’UE quale ordinamento “sovranazionale”, che si distingue tanto dal modello ordinamentale degli Stati quanto da quello delle organizzazioni internazionali. A sua volta, la “sovranazionalità” dell’UE è unica nel contesto internazionale; senza paragoni con altre forme di organizzazione regionale (Mercosur, Nafta ecc.), ma neanche con le più recenti organizzazioni internazionali (come il WTO) che pure hanno assunto alcuni tratti di sovranazionalità.

Non sono qua esaminate, per la necessità di concentrare l’attenzione sull’UE, due importanti questioni attualmente assai dibattute: la possibile presenza di caratteri democratici nell’ordinamento internazionale e il ruolo delle organizzazioni internazionalie della stessa UE[19] per diffondere e sostenere i valori democratici.

Basti in questa occasione ricordare che nella lettura più convincente[20] non ha senso parlare di democrazia nel diritto internazionale, in quanto i suoi soggetti (gli Stati e le organizzazioni internazionali) non governano direttamente i singoli. Tuttavia, a fronte di organizzazioni internazionali di nuovo tipo (l’esempio maggiore è la WTO), con taluni poteri pubblicistici che possono incidere direttamente sui soggetti nazionali (quindi con caratteri sovranazionali), inizia a diffondersi la tesi che “a democratization of the governance beyond the State, in particular in the sense of a better political inclusion of citizens in the exercise of public authority by international institutions, can well be theoretically concieved and practically realized[21].

Allo stesso tempo, di fronte alle innovazioni delle organizzazioni internazionali si discute sempre più spesso del loro ruolo per la “promozione della democrazia”. Nelle parole di Sabino Cassese, “the role of global institutions as sponsors of democratic processes and institutions vis-à-vis national communities[22].

Ora, se è vero che la democrazia non è solo una questione domestica, degli Stati, rimane impervia la questione della possibilità e dei limiti per il diritto internazionale di imporre agli Stati il rispetto di standard di democraticità; specialmente nella dichiarata situazione di carenza di una nozione generale e condivisa di democrazia (merita ricordare ancora la posizione dell’ONU[23]). Una “interferenza democratica” pur generosa si può tramutare facilmente in una sopraffazione di vecchio stampo, imperialistica o neocoloniale.

4.                 Nel diritto UE in tema di democrazia e valori democratici balza agli occhi il limitato apporto iniziale della giurisprudenza della Corte di giustizia, a differenza che sui temi dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali. La prima sentenza che si riferisce ai valori democratici è Roquette Frères, 29.10.1980, C-138/89; seguita da altre poche, come Commissione e Parlamento europeo/Consiglio 11.6.1991, C-300/89.

Le ragioni della reticenza della Corte stanno nella volontà di non interferire in una questione controversa, lasciata primariamente alle istituzioni europee “politiche” ed agli Stati membri. Anche abbastanza di recente la Corte non è voluta entrare nelle questioni definitorie, lasciando spazio agli Stati membri[24].

Più “coraggiosa” è l’ultima giurisprudenza, come la sentenza Commissione/Germania, 9.3.2010, C-518/07 (sul tema delle autorità nazionali per il trattamento dati personali) che tratta dei rapporti tra principio democratico e necessità di organismi amministrativi indipendenti. Rinviando ai paragrafi successivi l’esame dell’ardita tesi della Corte sulle “nuove” amministrazioni, va richiamato che la Corte precisa (punto 41) che “il principio di democrazia appartiene all’ordinamento giuridico comunitario ed è stato sancito espressamente dall’art. 6.1. come uno dei fondamenti dell’UE. In quanto principio comune agli Stati membri, esso deve essere considerato nell’interpretazione di un atto derivato quale l’art. 28 della direttiva 95/46”.

Contrariamente ad altre tematiche, come quella già esaminata dei diritti fondamentali, il diritto “costituzionale” dei Trattati ha anticipato la giurisprudenza. Per la fase iniziale vale ricordare la Dichiarazione di Copenhagen dell’8.4.1978, sul necessario carattere democratico dello Stato che intende divenire membro della CE; poi “consolidata” nel Trattato di Maastricht del 1992 (cfr. il Preambolo, quinta frase; art. F, per gli Stati membri). Nel successivo Trattato di Amsterdam del 1997 la democrazia è considerata come principio fondante dell’UE (art. 6)[25]. Infine, il Trattato di Lisbona ribadisce (art. 2) che la democrazia è tra i valori su cui si fonda l’Unione. Gli articoli, 9-12, del Titolo II, “Disposizioni relative ai principi democratici”) prevedono poi una sistematica disciplina di questi principi, che merita richiamare nei tratti maggiori.

Centrale ai quattro articoli del Titolo II del TUE è il concetto di cittadinanza europea, di matrice repubblicana, modulato sia al livello europeo che a quello nazionale degli Stati membri. Lasciando da parte – perché sostanzialmente inutile – l’infinita diatriba sul demos europeo o sui demoi europei, emerge sostanzialmente un modello di democrazia rappresentativa parlamentare, corretto da varie occasioni di partecipazione e di democrazia diretta. Le istituzioni rappresentative degli Stati membri e i partiti politici (art. 10.4) mantengono un ruolo principale, in collegamento con le istituzioni dell’UE ed in particolare con il Parlamento europeo. Rilevante anche l’art. 11 che obbliga le istituzioni a mantenere un dialogo aperto, trasparente e regolare con i cittadini, le associazioni rappresentative, la società civile al fine di assicurare un’ampia partecipazione. 

L’innovazione istituzionale più interessante è la cooperazione interparlamentare prevista all’art. 12 (“i parlamenti nazionali contribuiscono attivamente al buon funzionamento dell’Unione”[26]), espressiva allo stesso tempo del “dualismo democratico” parlamenti nazionali/Parlamento europeo e dell’integrazione basata sul valore generale della democrazia rappresentativa (art. 10.1: “il funzionamento dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa”).

La peculiarità del sistema europeo, come disciplinato nel TUE, è che il concetto di “popolo” rimane prerogativa degli Stati membri (art. 1.2, “i popoli”)[27], mentre è centrale nell’Unione il concetto di cittadinanza (art. 9 TUE e Carta dei diritti fondamentali, Titolo V, artt. 39-46). Più in dettaglio, i principali punti di riferimento sono:la cittadinanza europea; l’organizzazione costituzionale dell’UE; la doppia legittimazione democratica (dell’insieme dei cittadini europei e dei popoli degli Stati membri attraverso le loro istituzioni). Una originale democrazia “multilivello”[28] che però non supera né ridimensiona il circuito di legittimazione che passa per i parlamenti nazionali[29].

Da non sottovalutare anche la previsione – l’art. 7 TUE[30] – che consente all’UE di intervenire attivamente per “proteggere” lo Stato di diritto e la democrazia da minacce di carattere sistemico[31] negli Stati membri[32]; distinguendosi anche qua l’UE dalle organizzazioni internazionali in cui, come sopra indicato, questo potere di “vigilanza democratica” è limitato o impossibile. Se i casi di questo genere sono stati sinora fortunatamente eccezionali[33], più incisivo è il caso delle interferenze economiche (ma con fortissime implicazioni istituzionali) successivamente alla crisi del 2008 per i casi di “crisi sistemica” (emblematico il caso della Grecia). Ma si tratta di questioni diverse, per finalità e base giuridica.

Nel complesso, il Trattato di Lisbona determina un avanzamento cospicuo degli strumenti per rendere    effettivi i principi democratici. Tuttavia, è palese che la sistemazione dei “principi democratici” nel TUE non è risolta in modo compiuto. Mancano riferimenti a nuovi istituti, nozioni e procedure, come la rappresentanza degli interessi e la democrazia “deliberativa”, che avrebbero arricchito la tradizionale impostazione.

E’ un limite? E’ un fatto accidentale, o tipico di un progresso cauto, per tappe progressive? Oppure ancora una consapevole scelta per un modello originale dilegittimazione democratica dell’UE in cui alla tradizionale legittimazione democratica (governo del/dal popolo) – confermata anche nel sistema dell’UE – si affianca una nuova “legittimazione per risultati”?

Prima di rispondere a questi quesiti, merita tirare alcune conclusioni dalla parte introduttiva. Malgrado l’amplissimo dibattito sulla democrazia nell’UE e sulla sua legittimazione democratica, la questione non sembra ancora adeguatamente definita in termini scientifici, di diritto e di scienza politica. La questione appare irrisolta anche nella percezione comune della società, aggravando gli attuali problemi dell’UE. Stante che attualmente pare irrealizzabile ogni ulteriore significativa modifica dei Trattati, occorre lavorare sul vigente diritto “costituzionale”, traendone il massimo (che non è poco, se ben si lavora). Nel dibattito generale vanno introdotti elementi nuovi per la legittimazione dell’azione dell’UE; che, se intesi adeguatamente, possono essere il suo proprium specifico rispetto ad altre esperienze. La questione è urgente, dato che incombono le questioni sollevate dal Governo Britannico per ovviare al prossimo referendum (libera circolazione dei lavoratori; parità di trattamento dei cittadini europei; generalizzazione dell’opting out; diritto di veto dei parlamenti nazionali; ecc.); ricompaiono i confini; la libertà di movimento è in via di riduzione.

5.                 La tesi qua proposta considera l’UE quale particolare organizzazione politica basata su due forme, complementari e sinergiche, di legittimazione: quella tradizionale, democratica, basata sull’originale idea di rappresentanza a due livelli, europei e nazionali, che si connettono attraverso l’architrave della cittadinanza europea; l’altra basata sull’effettività (utilità/satisfattività) delle decisioni assunte e realizzate; ovvero, dai risultati positivi dei processi decisionali. Le due forme di legittimazione trovano puntuale rispondenza nel diritto UE, anche primario; pure la “legittimazione per risultati”, in particolare (ma non solo) nelle previsioni relative alla Banca centrale europea, alle nuove Autorità regolatorie ed alle Amministrazioni indipendenti.

            Sulla prima forma di legittimazione (detta anche “legittimazione da input”) esiste una cospicua letteratura e sono proposte ulteriori iniziative per valorizzare la “filiera” democratica nel continuo nazional-europeo, con o senza ulteriori riforme dei Trattati.

            Non merita dedicare particolare attenzione a questa tematica, perché già assai sviluppata. Vanno ricordate solo alcune delle maggiori proposte, valide e fattibili: a) il miglioramento delle regole decisionali delle istituzioni; b) la “politicizzazione” dei vertici istituzionali secondo il modello degli Spitzkandidaten; c) il definitivo superamento del ruolo del Parlamento europeo come “completamento” della legittimazione data dai parlamenti nazionali; d) l’istituzione di un organismo consultivo interparlamentare e/o di una rete pro-attiva dei parlamenti nazionali connessa al Parlamento europeo; e) come approfondimento del punto che precede, le proposte per un processo decisionale composito definito quale “integrative law making[34]”, rilevante strumento di integrazione; f) la razionalizzazione del sistema elettorale del Parlamento europeo per favorire una vera competizione politica complessiva nell’UE[35]; g) le proposte per una “democrazia deliberativa” – amministrativa, più che politica di tipo tradizionale – basata su una partecipazione informata e consapevole.

            E’ opportuno invece concentrare l’attenzione sul secondo tema, anche se, a sua volta, non originale, visto che è da tempo familiare agli scienziati sociali, soprattutto di scienza politica. Si tratta della “legittimazione per risultati”, data dall’effettività delle realizzazioni, delle decisioni; richiamata anche come “legittimazione per gli output” (output legitimation)[36]. Vi sono infatti rilevanti novità giuridiche che danno una nuova luce a queste problematiche.

            Si tratta di una legittimazione funzionale, che si ha quando le decisioni (rectius, le decisioni ed i risultati) sono accettate come legittime perché producono risultati effettivi; rappresentano una risposta concreta e positiva ai bisogni di una comunità; esprimono razionalità ed efficienza dell’azione pubblica; sono orientate verso interessi comuni.

            Va subito detto che questa forma di legittimazione trova forti critiche: si dice che rappresenta la vittoria del pragmatismo sull’ideologia, l’ascesa della tecnocrazia e della competenza tecnica come supremi caratteri di legittimazione; rispetto ai “processi caotici della democrazia”[37] rappresenta una sommaria scorciatoia rispetto alla complessità del presente.

Per quanto assai acute, tali critiche non paiono smentire la rilevanza di questa forma di legittimazione; come meglio si dirà tra breve.

            6. La tesi della legittimazione per risultati, o funzionale, non è certo una novità delle recenti fase dell’integrazione europea. Anzi, è stata una connotazione di questo processo sin dal Trattato CECA del 1951, secondo la formula (solo meno raffinata nell’espressione) della “solidarietà di fatto” richiamata nei paragrafi 3° e 5° del Preambolo: “fondare, con l’instaurazione di una comunità economica, le prime assise di una comunità più vasta e più profonda tra popoli per lungo tempo avversi per divisioni sanguinose, e a porre i fondamenti di istituzioni capaci di indirizzare un destino ormai condiviso”.

            Per quanto un po’ oscurato nella fase di “costituzionalizzazione” della CE, opera principalmente dalla Corte di giustizia, l’elemento funzionale, dell’esperienza tecnica, è rimasto ben vivo; basti pensare ai comitati, al ruolo dei consulenti tecnici, ai rappresentanti del mondo dell’economia e del lavoro (oltre al Comitato economico sociale) e, soprattutto, alle agenzie europee.

            Questa forma di legittimazione è tornata più rilevante che in passato per l’espandersi delle competenze dell’UE in materie ad alto tasso tecnico (ambiente, energia, sanità pubblica, reti trans-europee). Inoltre, nei Trattati e nel diritto derivato è stata definita la speciale posizione della BCE e della “nuova” politica economica e monetaria. Le vicende successive al 2008 hanno portato all’istituzione di nuovi organismi, come le tre Autorità regolatore istituite del 2010 (solo in apparenza simili alle precedenti agenzie europee) ed alla creazione di un vero e proprio ordinamento giuridico di settore, denominato “unione bancaria”, con originali organismi come il Single Resolution Board, proprie procedure (vigilanza e risoluzione) e strumenti di tutela amministrativa.

            Per la BCE il TFUE assicura un’indipendenza completa, come scudo contro le interferenze nazionali e politiche; anche nell’ambito dell’Unione (l’indipendenza della BCE va in effetti oltre quella garantita ad altre istituzioni) come indipendenza istituzionale, funzionale, finanziaria. L’indipendenza è considerata necessaria per assicurare che la BCE possa perseguire i suoi obbiettivi; anzitutto, ma non solo, la stabilità dei prezzi nell’interesse dei cittadini dell’Eurozona. Il punto è confermato dalle recenti sentenze della Corte di giustizia e del Tribunale, come Gauweiler (o OMT), 16.6.2015, C-362/14[38] e Accorinti II, 7.10.2015, T-79/13[39].

            Il dato ora richiamato è inconfutabile e non appare meramente evenemenziale, rappresenta anzi uno sviluppo destinato a durare e con un sistema di governance complessiva assai diverso. La finalità caratterizzante sta nel garantire le condizioni per risultati effettivi e condivisi.

           7. Come anticipato, la Corte di giustizia ha confermato questi sviluppi, con approfondite motivazioni; a differenza che sulle questioni poste dalla tradizionale impostazione della legittimità democratica (input legitimation), su cui, come detto, era risultata alquanto reticente. I due casi maggiori sono ESMA (European Securities and Markets Authority), 22.1.2014, C-270/12 e Gauweiler/OMT, cit. La Corte ha superato in modo “dolce” un pilastro della sua giurisprudenza (la “dottrina Meroni” sull’equilibrio istituzionale, basata sulla risalente sentenza del 13.6.1958, caso 9/56[40]); ha dato enfasi all’esperienza, al tecnicismo ed alla qualità amministrativa di alcuni organismi specializzati con l’importante sentenza 6.10.2015, C-362/14 (ivi un riepilogo dell’intera questione); ha riconosciuto (caso Gauweiler/OMT) la possibilità di deroghe alle regole ordinarie per ragioni “tecniche”.

            La giurisprudenza Meroni del 1958 era stata così rigidamente seguita per decenni da divenire “dottrina”. Prevedeva che non fosse conforme al sistema istituzionale comunitario una delegazione di poteri che implicasse un potere discrezionale con ampi margini; mentre potevano delegarsi poteri amministrativi di esecuzione con modesti o nulli margini di discrezionalità.

            Nel caso ESMA la Corte ha rilevato alcune circostanze (in parte già presenti in casi precedenti, dove però non erano state considerate idonee a superare la “dottrina Meroni”), quali: a) l’attribuzione di poteri con un regolamento europeo (non con atti di diritto privato come per Meroni); b) l’attribuzione di poteri puntuali, circoscritti da varie condizioni; senza dunque che si configuri “un ampio margine di discrezionalità” e comunque poteri che non vanno oltre al quadro normativo fissato dal regolamento istitutivo; c) la particolare qualificazione tecnica di ESMA, con “il suo alto grado di esperienza professionale” (punto 85 della sentenza); d) l’assoggettabilità delle decisioni al controllo giurisdizionale.

            Per la Corte di giustizia tali nuovi caratteri non determinano violazioni dei principi dello Stato di diritto e di democraticità perché tutte le decisioni assunte, anche della BCE, sono soggette a controllo giurisdizionale. Inoltre, non determinano alterazioni indebite al quadro istituzionale dell’UE. Infatti, alla BCE (che mirava, oltre che ad una piena indipendenza dalle altre istituzioni, anche ad un’esenzione dal controllo finanziario dell’OLAF) è stata riconosciuta una posizione di “autonomia funzionale”, sempre all’interno nel quadro istituzionale generale.

La citata sentenza Gauweiler ribadisce quanto già affermato nel caso OLAF (Commissione/BCE, 10.7.2003, C-11/00, al punto 135); ovvero che l’indipendenza della BCE non comporta la conseguenza di separarla interamente dalla Comunità europea e di esentarla da ogni regole del diritto comunitario. In particolare, in conformità al principio di attribuzione dei poteri, la BCE deve agire nei limiti delle competenze previste dal diritto dei Trattati e perciò non può validamente adottare ed eseguire programmi che siano fuori dalle politiche monetarie ad essa conferite; ed è sempre soggetta, come detto, al controllo giurisdizionale della Corte (cfr. punto 41)[41]. Trattasi comunque di una forma di controllo giurisdizionale non pieno, di merito (la c.d. unlimited jurisdiction) prevista all’art. 261 TFUE, ma di “illegalità”, prevista all’art. 263 TFUE, che non si estende alla valutazione completa dei fatti e della loro rilevanza giuridica ed economica, rispettando la discrezionalità tecnica della BCE[42].

            Pur con queste sentenze assai innovative – dall’esito non scontato vista la posizione giuridica e politica di Paesi importanti come la Germania – la Corte di giustizia non si è addentrata oltre sul terreno della legittimazione per risultati. Tuttavia, avendo confermato la legittimità del nuovo modello decisionale, ha aperto la via per riconoscere la particolare legittimazione funzionale dell’UE connessa all’effettività dei risultati. 

             8. La legittimazione per risultati non si limita all’attività di un’istituzione come la BCE o di altri organismi di vertice, come le tre Autorità regolatorie, ma riguarda l’intera attività amministrativa, sia diretta dell’UE sia delle amministrazioni nazionali operanti in funzione comunitaria (organi amministrativi comuni)[43], quando operano “in settori che comportano una perizia professionale e tecnica specifica”[44]. Con il TFUE è stato codificato che la pubblica amministrazione europea, nelle due branche di amministrazione diretta UE e di amministrazioni statali operanti in funzione comunitaria, deve caratterizzarsi per esperienza, qualità, indipendenza (art. 298).

            Gli sviluppi recenti mettono in crisi due modelli di amministrazione a lungo considerati principali: quello dell’esecuzione indiretta tramite le amministrazioni degli Stati membri; e il “federalismo di esecuzione”, quale sistema di articolazione della funzione esecutiva tra più livelli di amministrazione in un’istituzione federale o simile[45]. Il Trattato di Lisbona sviluppa al massimo il modello di “amministrazione comune” (cfr. in specie art. 197 TFUE).

            La giusta lettura di tre previsioni del TFUE (artt. 6, 197, 298) sinora poca considerate: la competenza dell’UE per il sostegno, coordinamento e completamento dell’azione amministrativa degli Stati membri (art. 6, sviluppato all’art. 197); la considerazione che “l’attuazione effettiva” del diritto del diritto dell’UE da parte degli Stati è “questione di interesse comune” (art. 197, c. 1); la qualificazione della pubblica amministrazione dell’UE (per la prima volta considerata) quale “aperta, efficace ed indipendente” (art. 298, c. 1)[46]. Conferma nelle analoghe previsioni della Carta dei diritti fondamentali dell’UE; in particolare per il diritto ad una buona amministrazione (art. 41) ed il diritto di accesso ai documenti (art. 42).

            Su questa base “costituzionale” occorre sviluppare una nuova nozione di buona amministrazione, quale “amministrazione efficace, capace di raggiungere risultati effettivi e positivi”. Fondando un’aspettativa per i singoli da riconoscere come essenziale nel contesto della cittadinanza europea e nazionale; dunque nel contratto sociale fondamentale.

            Già prima del Trattato di Lisbona si è avuta una prima importante giurisprudenza della Corte di giustizia su queste disposizioni; come nel caso già citato C-518/07 (Commissione/Germania) sulla protezione dei dati personali. La direttiva 1995/46 richiedeva agli Stati membri di istituire autorità di monitoraggio dotate di piena (complete) indipendenza. La Germania aveva invece argomentato che vari principi del diritto dell’Unione sono contrari al criterio di una completa indipendenza delle autorità amministrative; in particolare, il principio democratico precluderebbe un’ampia interpretazione di indipendenza. La Corte ha rigettato questo argomento, in quanto “il principio democratico non preclude l’esistenza di autorità pubbliche al di fuori della classica amministrazione gerarchica e più o meno indipendente dal governo, (…) libera da ogni influenza politica” (punto 42)[47].

La stessa conclusione, affinata ulteriormente in riferimento all’indipendenza funzionale (“operational indipendence”), è stata ribadita dalla Corte nelle successive sentenze Commissione/Austria, C-614/10, e Commissione/Ungheria, 8.4.2014, C-288/12, sullo stesso tema della protezione dei dati personali[48]. Anche in Digital Rights Ireland, 6.10.2015, C-362/14 (nota pure come sentenza Schrems), ove la Corte ha sottolineato (punto 41, sulla scia della precedente decisione nel caso C-288/12) che la garanzia dell’indipendenza delle autorità nazionali di supervisione è finalizzata ad assicurare effettività e affidabilità al controllo sull’osservanza delle previsioni sulla tutela dei dati personali.

            In sostanza, secondo la Corte, attribuire uno status indipendente a certe amministrazioni – ma in un contesto nel quale non manca una qualche influenza parlamentare – “non è di per sé idoneo a privare dette autorità della loro legittimazione democratica”[49].

            Si tratta di sviluppi ancora su temi particolari, ma comunque con carattere univoco verso la realizzazione dello “Spazio amministrativo europeo”, dopo altri similari sviluppi per sicurezza, giustizia, affari interni. Quindi articolazione dell’UE quale “spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne”.

            A fronte di questi sviluppi è evidente il rischio per ulteriori organismi e relative procedure al di fuori o in potenziale contrasto con l’assetto istituzionale (anche la dottrina Meroni “addolcita”), per i casi in cui la procedura di infrazione da parte della Commissione non riesce a garantire risultati effettivi. E’ il caso della proposta emersa nel dibattito delle Istituzioni UE per costituire un organismo indipendente – denominato “Commissione di Copenhagen” – incaricato di “proteggere la democrazia”, anche attraverso procedure di “early warning mechanism[50]. E’ il caso, ancora di più dubbio, delle proposte della Commissione di Venezia (Consiglio d’Europa) e del Bingham Centre for the Rule of Law[51] per organismi con la stessa finalità di “democracy watchdog”, in parte al di fuori del sistema UE. Del resto è stata sinora assai modesta l’esperienza dell’Agenzia UE per i diritti fondamentali[52], che rispondeva appunto alla medesima esigenze di organismi ad hoc con specifiche competenze di controllo e prevenzione.

            9. La legittimazione per risultati è una variante del genere “legittimazione attraverso il diritto”[53]. In particolare, attraverso il diritto amministrativo; considerando che gran parte dei risultati sono il portato di procedimenti amministrativi svolti da organismi di natura amministrativa.

            E’ noto che la legittimazione attraverso il diritto rappresenta uno degli esiti più tipici dell’età contemporanea, che porta a compensare la crisi della legittimazione politica; per altri a razionalizzarla. La legittimazione per risultati ne è, come detto, una specie.

            Non sono pochi, tuttavia, i rischi del modello di “legittimazione per risultati”. Si è parlato di un passaggio dal deficit democratico al “deficit politico”[54] (R. Dehousse); di una ad-hoc-crazia; dellosbilanciamento verso il tecnicismo/tecnocrazia, volto vero del preteso “government for the people[55]; di diminuzione dell’accountability; di limiti al controllo giurisdizionale; di ipertrofie burocratiche. Da ultimo, si è vivacemente sostenuto che, in un settore fondamentale per la società come le politiche economiche, l’approccio tecnocratico – che sarebbe evidente con l’istituzione della BCE e del sistema europeo delle banche centrali - comporta una palese depoliticizzazione sia a livello europeo che nazionale, con detrimento del tradizionale metodo democratico[56].

            Si tratta di critiche rilevanti, come altrettanto sono quelle per cui la “a-democraticità” della legittimazione per risultati richiama l’idea di spazi in cui la politica è stata “neutralizzata”; la pacifica e positiva “giuridificazione” del mondo[57]; l’effetto stimolante anche per le forme di legittimazione diretta, per consenso; la spiegazione dell’incipiente diritto globale come diritto “che tende a reggersi su sé stesso”.

            Assai forti anche le critiche dal punto di vista dei valori. Si è detto che la legittimazione mediante risultati di successo diventa un surrogato del processo democratico e della legittimazione democratica. Weiler ha scritto che la “politica senza politica” è devastante perché si rivolge al cittadino “ridotto a consumatore di risultati politici, invece che come soggetto che partecipa in modo significativo al processo politico”[58].

            Tuttavia, come già rilevava Carl Schmitt nel saggio “L’epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni” (1929)[59], queste situazioni non eliminano la contrapposizione amico/nemico, tipica del suo pensiero; né la persistenza della questione egemonica. Dunque il modello legittimazione per risultati (che pure negli epigoni estremi ambisce ad una nuova sfera neutrale basata sulla tecnica) non nasconde né elide la complessità del presente, ma arricchisce l’inventario euristico per ordinamenti e società complesse. “La neutralità della tecnica è sempre soltanto strumento ed arma e proprio per il fatto che serve a tutti non è neutrale”[60].

            Nell’UE, in particolare, la legittimazione per risultati – come detto, carattere qualificante del processo di integrazione europea sin dai primordi della CECA – ha oggi una sua evidenza anche nel diritto costituzionale (TFUE) e nella più recente giurisprudenza della Corte di giustizia sulle amministrazione tecniche e sull’unione economica e monetaria. Non supera certamente il ruolo primario della legittimazione basato sull’idea di rappresentanza e consenso, ma la integra in modo significativo.

           Si spiega così il titolo dello scritto: per la rifondazione dell’UE quale “comunità di diritto amministrativo”.

            L’espressione non è nuova essendo stata utilizzata nella letteratura giuridica da Jurgen Schwarze nel suo seminale libro sul diritto amministrativo europeo[61], sulla scorta di alcune indicazioni della giurisprudenza della Corte di giustizia. E’ stata ripresa più recentemente, nella scienza politica, da Peter Lindseth[62] che parla della UE come “System of Europeanized administrative governance”,  “fundamentally administrative[63].

             Qua si ripropone su ben altre basi positive e giurisprudenziali portando di nuovo in primo piano la questione amministrativa e del suo diritto al fine di assicurare una forma di legittimazione per risultati, integrativa e complementare della tradizionale legittimazione democratica per consenso.

            La proposta non è il frutto di partigianeria di materia, né di una “ideologia amministrativa”, ma, come detto, è il risultato della verifica del nuovo diritto positivo e della recente giurisprudenza della Corte di giustizia.

            Per concludere, la questione della legittimazione dell’UE può essere ben posta se si assume una nozione relativa, non assoluta, della democrazia e della legittimità democratica; se si considerano le particolari caratteristiche dell’UE quale originale ed unico potere politico sovranazionale; se si colgono i due modelli convergenti di legittimazione, per consenso e per risultati, ovvero la peculiare miscela di fonti e modalità di legittimazione che connota in modo originale l’UE. Così intendendo, non esiste un serio problema di legittimazione democratica dell’UE; semmai un deficit nella comprensione dei suoi caratteri

            Non ci si può tuttavia limitare al modello teorico di interpretazione proposto. I due “pilastri” di legittimazione risultano in concreto assai carenti.

            La legittimazione per consenso è largamente inadeguata: i parlamenti nazionali non assicurano un appagante apporto; il Parlamento europeo è capace solo di imporsi su temi particolari o di operare come freno/controllo, con modesta capacità positiva; la Commissione opera in modo poco trasparente e parcellizzato; il Consiglio è ricaduto nel ruolo di mera camera degli Stati, senza parvenza di sovranazionalità. L’unica istituzione “politica” che sta operando al meglio, oltre ogni aspettativa, è il Consiglio europeo che incarna effettivamente il ruolo di istituzione primaria di “impulso, orientamento e di definizione delle priorità politiche generali” (art. 15, c.1, TUE). Si impone dunque una rivitalizzazione del vigente quadro istituzionale dell’Unione, senza attendere modifiche ai Trattati perché al momento improponibili. 

            A sua volta, la legittimazione per risultati è zavorrata da un’amministrazione europea lontana dalle caratteristiche scolpite nell’ottimo art. 298, perché opaca e relativamente inefficace. Non è alle viste l’iniziativa da parte della Commissione – pur proposta dal Parlamento europeo pressoché all’unanimità – per un regolamento disciplinante il procedimento amministrativo europeo. Il coordinamento amministrativo e le funzioni di supporto da parte dell’UE si sono per ora limitate ad innocui interventi sporadici. Le amministrazioni nazionali operano con efficienze e velocità assai diverse e con standard di qualità altrettanto diversificati. L’attuazione amministrativa effettiva del diritto europeo negli Stati membri è in molti ordinamenti ancora un obbiettivo lontano dall’essere raggiunto. I deficit amministrativi contribuiscono alle situazioni di rischio sistemico per alcuni Stati membri. Nel complesso, lo Spazio amministrativo europeo è un cantiere aperto, ancora largamente da edificare.

[1] Sentenza del 12.9.2006 sui due casi riuniti.

[2] Sentenza del 18.7.2013.

[3] Sentenza del 19.12.2013.

[4]  Corte di giustizia, sentenza Uníon de Pequeños Agricultores, causa C-50/00, punti 38-39.

[5] Come si dirà tra breve, il riferimento alla democrazia nell’art. F, riferito al rispetto dell’identità nazionale dei suoi Stati membri “i cui sistemi di governo si fondano sui principi democratici”.

[6] Giustamente A. von Bogdandy, I principi fondamentali dell’UE, ES, Napoli, 2011, osserva (pag. 116) che “non è il principio democratico, ma lo Stato di diritto che per molti decenni è stato al centro delle riflessioni della scienza giuridica europea” sulla base dell’allora diritto della CE.

[7] “Un nuovo quadro dell’UE per rafforzare lo Stato di diritto”, COM (2014) 158 final, secondo cui lo Stato di diritto “è uno dei principi fondanti che discendono dalle tradizioni costituzionali comuni di tutti gli Stati membri dell’UE e, in quanto tale, è uno dei valori principali su cui si fonda l’Unione; come richiamato dall’art. 2 TUE nonché dal Preambolo dello stesso Trattato e da quello della Carta dei diritti fondamentali dell’UE” (pag. 2).

[8] Cfr. il Preambolo, alinea 3-4: “la salvaguardia e lo sviluppo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (…) costituiscono le basi stesse della giustizia e della pace nel mondo e il cui mantenimento si fonda essenzialmente, da una parte, su un regime effettivamente democratico (…)”.

[9] Il nome ufficiale della Commissione, organo consultivo del Consiglio d’Europa, è “Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto”. Pur a fronte della varietà delle accezioni di “Stato di diritto”/”Rule of Law” e simili, la Commissione ha proposto la sua definizione: “una comune norma europea fondamentale che guida e inquadra l’esercizio dei poteri democratici, e come componente intrinseca di ogni società democratica che impone a tutte la istanze decisionali di trattare ogni persona secondo i principi della dignità, dell’eguaglianza e della razionalità nonché conformemente alla legge, e di dar loro la possibilità di contestare le decisioni davanti a un giudice indipendente ed imparziale” (relazione del 4.4.2011).

[10] Per tutti, T. Bingham,  The Rule of Law, Allen Lane, London, 2010, 67; J. Jowell, The Rule of Law and its Underlying Values, in J. Jowell-D. Oliver (a cura di), The Changing Constitution, OUP, Oxford, 2011, 11 ss.

[11] Anche nella scienza politica è ricorrente questa vicinanza/diversità tra I due concetti: L. Morlino-A. Magen, International Actors, Democratization and the Rule of Law, Anchoring the Democracy?, Routledge, London, 2009.

[12] Rilevano H.-J. Blanke-R.Boettner (The Democratic Deficit in Economic Governance of the EU), in H.J. Blanke e altri, a cura di, Common European Legal Thinking, Eassays in Honour of Albrecht Weber, Springer, Berlin, 2016, 246), anche sulla scorta della prevalente dottrina tedesca, che “a direct effect vis-á-vis the citizens of the Member States, an element of supranationality, needs a legimatory backup at the international level, i.e. at the source of the rulemaking”

[13] L’enorme aperture ai valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’eguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani che rappresentano “valori comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.

[14] J.H.H. Weiler, Living in a Glass House. Democracy and the Rule of Law, in EUI Working Papers 2014/25, 25,27, sulla scorta anche di V. Bogdanor, Legitimacy, Accountability and Democracy in the EU, A Federal Trust Report, 2007, 8. Per Weiler, “likewise, at the most primitive level of democracy, there is simply no moment in the civic calendar of Europe where the citizen can influence directly the outcome of any policy choice facing the Community and the Union in the way that citizens can when choosing between parties which offer sharply distinct programs at the national level”.

[15] UNO, World Summit Outcome, Risoluzione del 24.10.2005: “We also reaffirm that while democracies share common features, there is no single model of democracy, that it does not belong to any country or region, ad reaffirm the necessity of due respect for sovereignty and the right of self-determination”.

[16] La notissima sentenza Lisbona, caso 2 BvE 2/08, punto 279.

[17] Tra i molti, H.J. Blanke-R. Boettner, op. cit., 253-254.

[18] Un’ottima sintesi in I. Pernice, Multilevel Constitutionalism in the European Union, in Eur. Law Review, 2002, 511.

[19] Interessanti notazioni, in una prospettiva sociologica, da A. Cavalli-A. Martinelli, La società europea, Il Mulino, Bologna, 2015, specie 195 segg.

[20] Per tutti L.M. Diez Picazo, I problemi della democrazia nei livelli non statali di governo, in  La sostenibilità della democrazia nel XXI secolo, M. Cartabia-A. Simoncini (a cura di), Il Mulino, Bologna, 2009, 157.

[21] Così, A. von Bogdandy, UE Insights for Political Inclusion in International Institutions, in Intern. Journal Const. Law, 2005, 295, 296. Dello stesso Autore, Globalization and Europe: how to square Democracy, Globalization and International Law, in The European Journal of International Law, 2004, vol. 15.5, 900. Cfr. anche G. de Burca, Developing Democracy Beyond the State, Columbia Journal of Transnational Law, 2008, vol. 46 (2), 101.

[22] S. Cassese, Global Standards for National Democracies?, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2011, 701, 704.

[23] Risoluzione del 24.10.2005, cit.

[24] Ad esempio nelle cause C- 145/04 e C-300/04.

[25] Riprende l’art. F del Trattato di Maastricht, ma assumendo il principio della democrazia tra quelli fondanti dell’Unione.

[26] Il principio è poi modulato nello stesso art. 12 in cinque modalità, che comunque non esauriscono le opportunità di dialogo e di partecipazione interparlamentare.

[27] La tesi, da condividere, è oggi assai diffusa. Per tutti, J.H.H. Weiler, In the Face of the Crisis: Input Legitimacy, Output Legitimacy and the Political Messianism of European Integration, in Journal of European Integration, 2012, vol. 34/7), 825 segg.

[28] Se si accoglie questa tesi va ridimensionata la lettura di una competizione democratica rappresentativa, a livello europeo, nel Parlamento europeo con la “fiducia” alla Commissione come esecutivo politico dell’Unione.

[29] Come giustamente nota A. von Bogdandy, I principi fondamentali, cit., 124, che richiama anche in senso confermativo l’art. 48 TUE.

[30] Considerato che sono limitati a casi particolari – come Romania e Bulgaria – i meccanismi di cooperazione e verifica (MCV) nella fase di pre-adesione.

[31] Sulla nozione di attentati e rischi di “carattere sistemico” cfr. la giurisprudenza della Corte di giustizia nei casi C-411/10; C-493/10; C-4/11. In dottrina, A. von Bogdandy-M. Ioannides, Il deficit sistemico nell’UE, in Riv. Trim. Dir. Pubbl.,2014, 593, che hanno definito il “deficit sistemico” come la situazione nella quale si riscontrano fenomeni di illegalità tanto marcati e diffusi da mettere in dubbio i valori fondamentali consacrati dall’art. 2 TUE. Si veda anche il commento di L. De Lucia, ivi, 641, che modera alcune conclusioni “forti” dei due Autori.

[32] Cfr. J-W. Mueller, Should the EU Protect Democracy and the Rule of Law inside Member States?, in European Law Journal, 2015, vol. 21 (2), 141. Cfr. anche, nella prospettiva dei diritti fondamentali, connessa a quella di democrazia, A. von Bogdandy e altri, Reverse Solange. Protecting the Essence of Fundamental Rights against EU Member States, in Common Market Law Review, 2012, vol. 49, 489 (anche in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2012, 933 ss..

[33] Il caso più noto e giuridicamente definito è quello relativo alla situazione in Ungheria dei diritti fondamentali e della democrazia, oggetto di formali indagini e rapporti della Commissione e del Parlamento europeo nel periodo 2011-2013.

 

[34] C. Harlow, Limping Towards Legitimacy: a Lawyer’s Take On EU Lawmaking Integration, in corso di stampa. Nella dottrina italiana una posizione similare è espressa da A. Manzella, Il parlamentarismo europeo al tempo della globalizzazione, in Federalismi, n. 4/2015.

[35] Ad esempio con un sistema elettorale uniforme per il Parlamento europeo. E’ però pacifico che a tal fine occorra una riforma dei Trattati, al momento difficilmente proponibile.

[36] Nella vasta bibliografia, cfr. principalmente: F. Scharpf, Governing in Europe. Effective and Democratic?, OUP, Oxford, 1999; dello stesso Autore, Problem-Solving Effectiveness and Democratic Accountability in the EU, Leibniz Information Centre for Economics, MPIFG Working Paper no. 3/1, 2006; V. Schmidt, Democracy and Legitimacy in the EU Rivisited: Input, Output and “Throughput”, in Political Studies, 2013, vol. 61, 2; G. Majone, Rethinking the Union of Europe Post-Crisis. Has Integration Gone Too Far?, CUP, Cambridge, 2014.

[37] J.H.H. Weiler, Living in a Glass House: Europe, Democracy and the Rule of Law, in EUI Working Papers, RSCAS 2014,25, pag. 25.

[38] La sentenza è stata anche ampiamente trattata nella prospettiva tedesca, mettendo a confronto le posizioni espresse dal BVG nel presente caso e nel precedente “Lisbona”. Si veda, in particolare, M. Claes-J.-H. Reestmann, The Protection of National Constitutional Identity and the Limits of European Integration at the Occasion of the Gauweiler Case, in German Law Journal, 2015, vol. 16/04, 917.

[39] La sentenza è particolarmente interessante sul motivo legato all’asserita violazione del principio di legittimo affidamento da parte delle BCE e di suoi esponenti; cfr. punti 73-84.

[40] La sentenza ESMA ha immediatamente sollevato un ampio dibattito. Cfr. in particolare P. Nicolaides-N. Preziosi, Discretion and Accountability: the ESMA Judgement and the Meroni Doctrine, College of Bruges Research Papers, no. 30/2014.

[41] Nel caso Gauweiler la conclusione della Corte è stata, come noto, che i programmi della BCE per l’acquisto di obbligazioni governative sui mercati secondari (le c.d. misure “non convenzionali”, atipiche) sono conformi alla disciplina vigente.

[42] Il punto è evidenziato da C. Zilioli, The ECB, Indipendence and Judicial Scrutiny, in corso di pubblicazione negli atti del convegno “The Democratic Principle and the Economic and Monetary Union”, Università Roma II, gennaio 2016.

[43] La Corte ha accertato questo carattere in relazione agli organismi economici e monetari (cfr. punto 85 della sentenza ESMA), anche con riferimento alle competenti autorità nazionali, che insieme ad ESMA operano con un alto grado di esperienza professionale e in stretta collaborazione per il perseguimento degliobbiettivi di stabilità finanziaria dell’Unione), ma l’affermazione ha una valenza certamente più ampia, da riferire a gran parte dell’amministrazione; almeno a quella qualificabile come “tecnica”.

[44] La citazione è, nuovamente, della sentenza ESMA punto 82.

[45] Giustamente R. Schuetze, From Rome to Lisbon: “Executive Federalism” in the (new) EU, in CMLR, 2010, 1407, coglie la novità dell’art. 197 TFUE (in combinazione con l’art. 6 TFUE).

[46] Art. 298.1 TFUE: “Nell’assolvere i loro compiti le istituzioni, organi e organismi dell’Unione si basano su un’amministrazione europea aperta, efficace e indipendente”.

[47] Precisa la Corte, con motivazione di particolare interesse ai presenti fini, che “l’esistenza e le condizioni di funzionamento di siffatte autorità, negli Stati membri, rientrano nella sfera della legge o persino, in taluni Stati membri, della Costituzione e tali autorità son soggette al rispetto della legge sotto il controllo dei giudici competenti. Autorità amministrative indipendenti di tale genere, come ne esistono del resto nel sistema giuridico tedesco, hanno spesso funzioni regolatrici o svolgono compiti che devono essere sottratti all’influenza politica, pur restando subordinate al rispetto della legge, sotto il controllo dei giudici competenti. Ciò si verifica precisamente nel caso delle funzioni delle autorità di controllo in materia di protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali” (punto 42).

[48] In quest’ultima sentenza relativa all’Ungheria, la Corte ha ulteriormente precisato che: a) l’indipendenza di queste amministrazioni preclude, tra l’altro, ogni direttiva e influenza esterna di qualsiasi tipo; b) l’indipendenza funzione è una condizione essenziale per la legittima e corretta operatività di questi organismi (punto 52).

[49] Sentenza cit. 9.3.2010, C-518/07. Ma più che “legittimazione democratica” dovrebbe correttamente dirsi: “legittimazione funzionale o per risultati”.

[50] La proposta è riassunta nel paper dell’European University Institute, Reinforcing Rule of Law Oversight in the EU, EUI Working Papers, 2014/25, a cura di C. Closa, D. Kochenov, J.H.H. Weiler, pag. 22.

[51] Bingham Centre, Safeguarding the Rule of Law, Democracy and Fundamental Rights; a Monitoring Model for the EU, 15.11.2013.

[52] Regolamento (CE) n. 168/2007 del 15.2.2007. Per una lettura meno critica, M. Cartabia, L’Agenzia dei diritti fondamentali dell’UE, in Dir. Unione Europea, 2009, 531.

[53] Questo approccio, presente da tempo nel diritto europeo – basti pensare agli scritti di M. Cappelletti (tra cui in particolare, Integration Through Law, - Europe and American Federal experience, Gruyeter, Berlin-New York, 1986) –  è adesso particolarmente condiviso tra gli studiosi del c.d. “diritto globale”. Cfr. in particolare S. Cassese, Chi governa il mondo?, Il Mulino, Bologna, 2012; Id., Lo spazio giuridico globale, Bari-Roma, Laterza, 2006.

[54] R. Dehousse, Constitutional Reform in the EC. Are There Alternative to the Majority Avenue?, in J. Hayward (a cura di), The Crisis of Representation in Europe, Cass, London, 118.

[55] Merita qua ricordare vari scritti di D. Curtin critici sul ruolo dell’esecutivo europeo; per tutti: Challenging Executive Dominance in European Democracy, C. Joerges-C. Glinski (a cura di), The European Crisis and the Transformation of Transnational Governance. Authoritarian Managerialism versus Democratic Governance, Hart, Oxford, 2014, 203.

[56] G. Peroni, The ECB and the European Democracy: a Technocratic Institution To Rule All European States?, in corso di pubblicazione negli atti del citato Convegno “The Democratic Principle and the Economic and Monetary Union”.

[57] Sulla “ipertrofia del giuridico” pungenti le critiche di B. de Giovanni, La global polity e la ricerca dell’araba fenice, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2016, 1467, prendendo spunto dalle posizioni di S. Cassese: “nell’arena globale tutto è espressione di un mosaico di ordinamenti giuridici e di regimi regolatori settoriali. Il conflitto politico non sembra avere più un luogo dove manifestare la propria energia creativa. La global polity è, in fondo, giuridificazione del mondo. La quale per funzionare deve neutralizzare il conflitto e per farlo deve rendere omogenee tutte le forze che interferiscono nel processo globale. (…) Ma forse la natura delle forze in campo non si presta a questa omogeneizzazione”. Di de Giovanni, sul tema generale, si veda anche: Elogio della sovranità politica, ES, Napoli, 2015, specie 287 segg.

[58] J.H.H. Weiler, Europa: “Nous coalisons des Etats, nous n’unisons pas des hommes”, in La sostenibilità della democrazia nel XXI secolo, cit. 51 segg., 64; nello stesso senso l’Autore argomenta in Living in a Glass House, cit., 29.

[59] Pubblicato nel volume Le categorie del politico, Il Mulino, Bologna, 1972, 167 segg; seguito dalla Postilla all’edizione del 1932 e da due Corollari.

[60] Op. cit., pag. 178.

[61] J. Schwarze, European Administrative Law, Sweet & Maxwell, London, 1992, 4, ma prima edizione 1988: “European Community Law itself is primarily made up of rules of administrative law, drawn in particular from the area of law governing the management of economy. To that extent, the EC, already described by the Court of Justice as a community based on law, could more precisely be termed a community based on administrative law”.

[62] P. Lindseth, Power and Legitimacy. Reconciling Europe and the Nation-State, OUP, Oxford, 2010.

[63] Non è invece condivisibile la scissione che l’A. propone tra legittimazione tecnocratica dell’UE e la legittimazione costituzionale e democratica che rimane negli Stati membri, dato che è tipico dell’UE coniugare congiuntamente le due forme di legittimazione (cfr. pag. 49 segg).