Mario P. Chiti - La giustizia nell’amministrazione. Il curioso caso degli Administrative Tribunals britannici

1. Per la pattuglia degli amministrativisti italiani interessati alle vicende dell’ordinamento britannico, gli Administrative Tribunals (AT) hanno costituito una potente calamita di interesse sin dalla loro istituzione, ed in particolare da quando per vicende diverse, ma convergenti nell’esito, si era vanificato da noi il ruolo dei ricorsi amministrativi. Coloro che non si rassegnavano al tramonto di una “giustizia nell’amministrazione” consideravano l’esperienza britannica particolarmente allettante, pur con le particolarità proprie di quell’ordinamento, composito al suo interno e di diversa tradizione rispetto al continente.

L’interesse per gli AT è stato a lungo ben giustificato. Questi organismi ogni anno riescono a trattare una grandissima quantità di casi. Le statistiche ufficiali parlano di decine di migliaia di casi; pur aggregando situazioni alquanto differenti, talune di dubbia natura, il dato è significativo. Le procedure degli AT sono celeri ed informali, ma rispettose del principio del contraddittorio; si utilizzano esperti del settore coinvolto; i costi sono limitate. La disciplina dei Tribunals consente di sollevare questioni di merito precluse alle corti, favorendo così una più ampia tutela degli interessati. Le decisioni assunte risolvono definitivamente la grandissima parte delle controversie, come dimostra il modesto numero degli appelli alle corti (peraltro limitati da varie preclusioni processuali e dagli alti costi di giustizia, senza paragone con quelli delle procedure davanti agli AT).

L’efficace funzionamento degli AT è la principale ragione per cui la Gran Bretagna ha un contenzioso pubblicistico assai limitato rispetto alle cifre continentali; ed in particolare all’Italia, che pure è Paese sostanzialmente equivalente per abitanti e problemi. Il rapporto tra il contenzioso del plesso amministrativo-contenzioso (quasi judicial) e delle corti si è solo in parte modificato verso quest’ultimo in conseguenza dell’istituzione di un organico sistema di controlli giurisdizionali (la judicial review con le relative azioni/applications) e di un giudice specializzato in cause pubblicistiche (la Administrative Court della High Court). In proporzione, i numeri continuano ad essere di uno a dieci.

L’esperienza britannica è risultata interessante, in particolare, per la caratterizzazione non giuridica di gran parte degli AT, evidente dalla loro composizione tecnico-specialistica e dal tipo di procedura, indirizzata alla piena acquisizione e valutazione del merito della controversia.

Alle motivazioni positive di carattere giuridico si sono inoltre sommate altre ragioni più generali, quali l’apprezzamento per un’esperienza che all’origine era una delle espressioni istituzionali del socialismo fabiano, e poi, dal secondo dopoguerra, dello Stato sociale, saldo anche dopo le forti evoluzioni degli ultimi due decenni del secolo passato. In breve, una considerazione degli AT come una “autoamministrazione della società” per il contenzioso quotidiano con i poteri pubblici. Una forma di “giustizia senza il diritto”.

L’interesse per gli AT perdura tuttora assai vivo; tuttavia questi organismi hanno mutato natura. Da essere parte del sistema amministrativo sono divenuti parte del machinery of justice.

Evoluzione di indubbio interesse, ma che allontana gli AT dal tema della giustizia nell’amministrazione. Il loro caso va dunque studiato quale forma originale di tutela, non più nella prospettiva dell’amministrazione giustiziale bensì in quella della funzione “aggiudicativa” più vasta che nella tradizione.


 

2. Per tutto il secolo scorso il modello degli AT non ha avuto in Italia alcuna corrispondente iniziativa riformatrice, malgrado le autorevoli proposte in tal senso; uno degli esempi più eclatanti del limitato ruolo della scienza giuridica per l’evoluzione delle istituzioni. Anche da ultimo, le nostre politiche pubbliche per razionalizzare la giurisdizione, filtrare l’accesso alle corti e aumentare l’efficienza del sistema giustizia hanno seguito strade diverse. Alcune delle maggiori novità per la giustizia civile – come lo spazio dato alle forme alternativa di tutela (le c.d. Alternative Dispute Resolutions, ADR), ed in particolare alla mediazione – traggono origine dal sistema britannico e dalla cultura di common law; ma per la parte delle alternative amministrative o quasi judicial alla giurisdizione è stato nullo il richiamo all’esperienza degli AT.

Le ragioni di queste diverse politiche pubbliche nei due Paesi sono in parte italiane; per altra parte derivanti dall’evoluzione che recentemente ha caratterizzato gli AT britannici, andati ben oltre i confini tradizionali della giustizia nell’amministrazione.

Le ragioni nazionali non sono il centro di questo intervento. Basta dunque qua indicare le due principali: il rilievo assunto dal 1990 dalla disciplina del procedimento amministrativo; la diffidenza, talora la palese ostilità, per forme di tutela affidata a organi amministrativi composti principalmente da esperti non giuristi.

Per quanto riguarda la disciplina del procedimento, è noto che il Regno Unito non ha seguito il modello della disciplina organica del procedimento, preferendo normative per settori del procedimento o discipline particolari. A differenza della Francia – ove, malgrado la diversa tradizione incentrata sul ruolo del giudice amministrativo, sta affermandosi la proposta per una disciplina generale del procedimento – nel Regno Unito non sembra prossima una riforma del genere. Coerentemente, nell’Unione europea i britannici stanno rallentando le proposte del Parlamento europeo per un regolamento sul procedimento amministrativo dell’Unione; che, ove approvato, avrebbe sicuramente influenza indiretta anche per gli Stati membri e quindi per l’ordinamento del Regno Unito.

La disciplina britannica del procedimento, pur consentendo generose forme di partecipazione attiva o di garanzia, non offre la possibilità in via preventiva per una tutela piena ed effettiva degli interessi dei soggetti coinvolti; compensata ampiamente dalle doglianze agli Ombudsman ed Ispettorati, e dai ricorsi presentabili agli AT. Il caso italiano è diverso. La legge n. 241/1990 ha consentito ampie forme di partecipazione e garanzia amministrativa nel corso del procedimento, attenuando l’esigenza per una tutela amministrativa ex post alla decisione.

I due diversi modelli, britannico ed italiano, con tutta evidenza non sono sovrapponibili e correttamente comparabili. Complessivamente, il modello britannico tutela gli interessati in un numero maggiore di casi, dato che alle non poche possibilità di tutela amministrativa previste dalle specifiche norme procedimentali somma la possibilità di adire, con facilità ed efficacia, i numerosi AT. Con l’ulteriore opportunità di adire le corti in casi di particolare rilevanza giuridica. In Italia, invece, si preferisce insistere sulla disciplina del procedimento amministrativo per trarne ogni ulteriore possibilità di partecipazione attiva e di garanzia per poi passare direttamente alla giurisdizione, valorizzando le molte possibilità che la giustizia amministrativa offre agli interessati secondo il recente Codice del processo amministrativo. Come noto, procedimenti “giustiziali” di qualche rilievo si hanno solo nel caso di alcune Autorità indipendenti o di organismi particolari come l’Autorità Nazionale Anticorruzione (già A.V.C.P.). Il ricorso straordinario è ormai vicinissimo alla giurisdizione, secondo la più recente giurisprudenza e normativa.

Circa poi la generale preferenza in Italia per la giurisdizione, evidente malgrado le diffuse critiche ai giudici di ogni giurisdizione e grado, si è di fronte ad una posizione che ha risalenti radici nella sfiducia per l’imparzialità e la qualità dell’amministrazione pubblica, anche se operante in modo giudiziale. Il tema può essere meglio trattato da colleghi di altre scienze sociali; ma a conferma diretta colpisce la scarsa attrazione che finora hanno avuto le nuove forme di tutela non giurisdizionale per le questioni civilistiche, quasi che le politiche di “degiurisdizionalizzazione” (orrendo neologismo di un legislatore che sembra non avere risciacquato la propria lingua in Arno) tramite le ADR fossero iniziative estranee al comune sentire.

Merita notare che se gli AT non hanno avuto in Italia (ed anche in molti altri Stati europei) l’influenza da molti auspicata, nel diritto dell’Unione europea si avverte un crescente interesse per soluzioni delle controversie affidate ad organismi non giudiziali, di particolare qualificazione tecnica, capaci di decidere con tempi rapidi come richiesto dall’urgenza delle questioni. Un esempio recente, importante, si rinviene nella recente disciplina dell’Unione bancaria, precisamente nel regolamento n. 806/2014 sulle risoluzione delle crisi bancarie, che prevede un Comitato di appello (Appeal Panel) assai simile agli AT (nel modello loro proprio sino al 2007). Non è al momento chiara l’origine di queste discipline, ma indubbiamente i nuovi organismi giustiziali dell’Unione bancaria somigliano molto ai Tribunals.


 

3. Passando alle vicende britanniche, si conferma che le recenti evoluzioni della disciplina degli AT hanno modificato in modo significativo i caratteri che avevano fatto di questi organismi un riferimento per possibili riforme in Italia ed in altri Paesi continentali.

Infatti, gli AT hanno progressivamente perduto il carattere di organismi amministrativi contenziosi, estranei alla giurisdizione, per divenire parte del sistema giudiziale di tutela, caratterizzata solo da alcune particolarità. Efficacemente, una studiosa britannica li ha definiti “sostituti delle corti” (C. Harlow).

Per capire l’evoluzione degli AT è necessaria una sintetica ricostruzione dei principali passaggi della loro disciplina ed esperienza.

Già nella seconda metà dell’Ottocento furono previste le prime forme di “ricorsi amministrativi”, affidate a particolari organismi, denominati Boards, composti di regola da non giuristi. Le decisioni di questi organismi non erano normalmente appellabili davanti alle corti, né a queste si poteva accedere direttamente salvo specialissime situazioni.

E’ all’inizio del Novecento – quindi con l’avvio di un primo Stato sociale voluto dai Liberali, vincitori delle elezioni del 1906 – che si creano vari AT per questioni collegate al recente sistema pensionistico, di sicurezza sociale, di disciplina del lavoro, di protezione dell’infanzia. Le nuove opportunità di tutela ebbero immediato successo, dimostrato dal numero dei ricorsi e dall’attenzione di influenti politici come Lloyd George ed i giovani Beveridge e Churchill. Fino da allora prevalse l’opinione che le questioni poste dal Welfare State fossero inappropriate per le corti, non use a trattare masse di controversie, per di più di carattere eminentemente fattuale (B. Abel-Smith e R. Stevens).

Il periodo in cui gli AT si svilupparono maggiormente fu quello tra le due guerre mondiali, specialmente negli anni trenta in conseguenza della grande crisi economica del 1929, dei movimenti sociali e della sempre maggior rilevanza del partito Laburista, supportato giuridicamente dalla Scuola del “socialismo giuridico” di Robson, Jennings e Laski. Si ricorda in particolare nel 1932 il Rapporto della Commissione presieduta da Lord Donoughmore (Committee on Ministers’ Powers), che pose le premesse per l’istituzione di nuovi AT e definì in termini generali una funzione amministrativa giustiziale, distinta dalla giurisdizione e dalla funzione “aggiudicativa”.

Nella prospettiva continentale giuspubblicistica, gli AT sono risultati il “cavallo di Troia” per l’introduzione del diritto pubblico nel Regno Unito. Infatti, malgrado il carattere poco giuridico degli AT del tempo, risultò ben presto chiara la natura pubblicistica/amministrativistica di quasi tutte le questioni attribuite alla competenza dei Tribunals e, per converso, la carenza di tutela giurisdizionale – nelle forme processuali tradizionali – degli interessi coinvolti. Gli AT colmarono così, in modo originale, la lacuna di tutela del sistema britannico per molti interessi violati dal potere pubblico.

Pur con le loro spiccate connotazioni giustiziali, gli AT sono rimasti a lungo parte del sistema amministrativo britannico. Da qui, come detto, il comprensibile interesse di alcuni studiosi italiani e continentali per un’esperienza di “tutela amministrativa” ben funzionante e satisfattiva per gli interessati. Ma si è dimenticato spesso che fino alla fine degli anni settanta del Novecento il contenzioso di diritto pubblico aveva possibilità di essere trattato dalle corti in situazioni assai particolari, senza procedure specifiche e senza un giudice “esperto”.

Al culmine dell’esperienza degli AT quali organismi parte della pubblica amministrazione si reputò matura la possibilità di una loro evoluzione verso il sistema giudiziale. La Commissione Franks, ed il conseguente Rapporto del 1957 (Report of the Committee on Administrative Tribunals and Inquiries), sostennero che i Tribunali non dovessero più essere parte del sistema amministrativo, ma del “machinery of adjudication”; con una procedura “open, fair and impartial”. Il Rapporto, ampiamente condiviso, portò all’approvazione nell’anno successivo del Tribunals and Inquiries Act, rimasto vigente sino allo scorso decennio; per quanto varie volte emendato.

I caratteri assunti dagli AT vennero così sintetizzati dal maggiore studioso del tema, J. Farmer: “the ability to make final legally enforceable decisions, subject to review and appeal; indipendence from any department of government; the holding of a public hearing judicial in nature; the possession of expertise; a requirement to give reasons; and the provisions of appeal to the High Court on points of law”.

Fu dunque definito in modo organico il sistema degli AT, che ormai superavano il numero di quaranta; ed al contempo si segnavano con nettezza i caratteri giustiziali della loro funzione: indipendenza, imparzialità, garanzia del contraddittorio, trasparenza. Aprendo così le porte alla revisione delle decisioni degli AT da parte delle corti, oltre alla tradizionale azione per violazione dei loro poteri (ultra vires). I Tribunals esaminavano il merito della controversia; le corti (la High Court e le altre superiori) gli eventuali punti di diritto e, in casi espressamente previsti, anche il merito; in tali casi potendo eventualmente modificare il giudizio dei Tribunals. La scienza giuridica inglese condivise questi sviluppi, perché è “proper for those tribunals that exercise judicial functions to be accountable to courts” (C. Harlow).


 

4. Nell’ultima parte del secolo scorso sono avvenuti sviluppi particolarmente interessanti: la piena operatività dei “nuovi” AT, come riformati dalla legge del 1957 – ormai decine e con un vastissimo contenzioso – ed, al contempo, l’avvio di una specifica azione processuale pubblicistica, la già ricordata application for judicial review. Dunque una complessiva funzione aggiudicatrice, articolata in due parallele funzioni a tutela di interessi di natura pubblicistica: l’una amministrativa giustiziale; l’altra prettamente giurisdizionale. In breve, con buona pace degli epigoni di Dicey, l’affermazione di una vera e propria “giustizia amministrativa”, pur con tutte le peculiarità britanniche.

Quando in quel sistema sembrava ben definita una duplice tutela pubblicistica – amministrativa e giurisdizionale – è avvenuta un’ulteriore evoluzione, tuttora non conclusa.

Seguendo il metodo britannico delle Commissioni indipendenti di studio e proposta (purtroppo mai veramente attecchito in Italia, con talune particolarissime eccezioni), all’inizio dello scorso decennio fu costituita una Commissione presieduta da Sir Andrew Leggat per esaminare la possibile revisione degli AT alla luce della fortunata esperienza della judicial review. Il Rapporto del 2001 (Report of the Review of Tribunals. Tribunals for Users, One System, One Service) proponeva un vero e proprio “sistema” di Tribunali indipendenti, con un Presidente nazionale nominato dal Ministro della Giustizia; articolato su due nuovi tribunali (First Tier Tribunal e Upper Tribunal) nei quali far confluire i tribunali esistenti.

Dopo molte discussioni, il Parlamento ha approvato nel 2007 il Tribunals, Courts and Enforcement Act che recepisce la sostanza del Rapporto Leggat. Molti Tribunals sono stati trasferiti nei due nuovi, ora citati; altri confermati. Rimarchevole la possibilità, ad onta della razionalizzazione in due gradi generali, di istituire nuovi tribunali specializzati in particolari campi. La garanzia del nuovo “sistema” è assicurata dall’Administrative Justice and Tribunals Council con il compito di vigilare (review) l’intero sistema di giustizia amministrativa.

Con la legge del 2007 gli AT sono formalmente e sostanzialmente usciti dal sistema amministrativo britannico, divenendo parte di quello che usualmente si definisce il machinery of justice; ovvero del sistema giustiziale, meglio definibile come machinery of adjudication. Nelle parole di Lord Carnwath, allora Presidente del Council ed oggi giudice della Supreme Court, i Tribunals sono divenuti “a vital but distinct part of the indipendent civil justice system” e i loro giudici sono “full members of the indipendent judiciary with full guarantees of indipendence”.


 

5. Il sistema dei nuovi Tribunals sta funzionando con successo, specie a seguito dell’entrata in funzione dei due tribunali generali, assicurando un coerente sistema di garanzie. L’Upper Tribunal ha così palesi tratti giudiziali che il già citato Lord Carnwath ha proposto di riconoscerlo formalmente per quello che in effetti è: una “Administrative Court in relation to public law generally”.

Per altri commentatori è comunque improbabile che la distinzione formale tra Tribunals e corti sia abolita, anche perché inutile una volta che è stata riconosciuta una generale “adjudicative function”. Nella nuova prospettiva “it will be possible to describe tribunals as a type of courts and the courts as a type of tribunal; or, more accurately, courts and tribunals as species of adjudicative institution” (P. Cane).

Pare però che il sistema britannico non riesca a fare a meno di un filtro giustiziale amministrativo. Va segnalato infatti che all’evoluzione ora ricordata degli AT si è accompagnata l’istituzione di nuovi Ispettorati interni nei dipartimenti centrali. Si tratta di organi amministrativi, privi del carattere di indipendenza, incaricati tra l’altro di esaminare gli esposti e le doglianze (complaints) nei confronti dell’amministrazione in cui sono incardinati. Gli Ispettorati sono dunque finalizzati ad assicurare buona parte della tutela amministrativa che in origine era propria dei Tribunals. Si tratta di un’esperienza che si riallaccia ad una delle più antiche forme di controllo amministrativo “interno”, nota in particolare nell’ordinamento francese; ma con le particolarità, tipiche del Regno Unito, del rispetto dei principi procedurali di natural justice, da un lato; e dell’influenza di modelli manageriali di soluzione delle questioni controverse, denominata “proportionate dispute resolution”, dall’altro. Vedremo in futuro quale sarà la loro importanza per la tutela degli interessati.

 

6. Per il giurista italiano l’evoluzione ora ricordata è di particolare interesse perché indica come il sistema di judicial review, positivamente funzionante ed effettivo (ad onta della recente istituzione), anziché essere anticipato da una fase di natura amministrativa giustiziale, ha finito per “catturare” tale fase quasi come un primo grado semi-giurisdizionale, in cui al nuovo rilievo delle questioni giuridiche si affianca l’apprezzamento del merito delle questioni controversie.

Quest’ultimo punto è rilevante in quanto nel periodo di maggiore sviluppo degli AT pareva sostenibile una funzione giustiziale “senza il diritto”, tanto il merito aveva assunto piena centralità. Oggi, evidentemente non è così per la “giuridicizzazione” dei Tribunali ed anche per questo il “judicial review of tribunal decisions is intended to become a rarity” (C. Harlow).

Ne consegue una domanda di fondo: il sistema britannico, che ha avuto la più compiuta esperienza di organi amministrativi quasi giudiziali sino a quando non si è sviluppata una particolare “giustizia amministrativa”, indica forse che ad una duplice tutela amministrativa e giurisdizionale è preferibile un perfezionamento/ampliamento della tutela giustiziale istituendo organismi particolari, specializzati, quali i nuovi AT, parte formale e sostanziale del machinery of justice, la cui differenza rispetto alle corti “is one of degree rather than kind” (P. Craig)?

Gli sviluppi considerati sono così recenti che non è possibile, al momento, dare una risposta adeguata. Gli stessi giuristi britannici sono cauti nell’interpretazione dello scenario ora delineato. Va aggiunto che altre riforme da ultimo intervenute sulla procedura di judicial review indicano una possibile ulteriore tendenza (che ancor più necessita di prossima ponderazione): si tratta dei provvedimenti per deflazionare il numeri delle applications al giudice – peraltro irrisorie rispetto ai numeri italiani – attraverso una serie di misure che sono state fortemente osteggiate, specie dal mondo scientifico e legale, in quanto ingiustamente restrittive del diritto di difesa, uno dei capisaldi del rule of law. Si è infatti inciso sulle spese di giustizia (ancora più onerose), sul sistema di autorizzazione/leave al ricorso (ristretta), sui termini per presentare i ricorsi (scorciati), sul carattere collegiale di molti procedimenti (con preferenza al monocratico), sulla forma delle sentenze (semplificate), e così via. Novità non certo estranee a politiche similari seguite dalle nostre istituzioni nell’ultimo periodo.


 

7. Nell’insieme, dunque, la tutela nei confronti del pubblico potere si articola oggi nel Regno Unito su tre vie: a) tutela amministrativa vera e propria, con le istanze (complaints) presentate ai vari commissari civici (Ombudsman) competenti per settore; oppure agli Ispettorati interni di recente istituzione; b) tutela quasi giudiziale, con i ricorsi agli AT, sostanzialmente primo grado del machinery of adjudication; c) tutela giurisdizionale, con le applications for judicial review, nei limiti alquanto ristretti in cui sono ammissibili.

Considerato che AT e corti formano ormai un insieme largamente unitario, ove gli AT rappresentano dei “sostituti delle corti”, si conferma la tesi inizialmente espressa che l’esperienza degli AT non possa più essere un punto di riferimento per riforme italiane finalizzate a recuperare una giustizia nell’amministrazione con figure e procedure distinte da quelle giurisdizionali. Ma il caso britannico indica altresì che permane importante la tutela amministrativa; non soltanto tramite la sempre vitale figura degli “ombudsman”, ma pure con i recenti Ispettorati interni.

Ragione vorrebbe che si continuasse a seguire con il giusto interesse le sempre stimolanti vicende di oltre Manica, senza però che gli “orfani” degli Administrative Tribunals tornassero a proporre le più recenti procedure e figure dell’amministrazione giustiziale, come gli Ispettorati, quale una panacea per i nostri problemi.