Il Consiglio di Stato individua i criteri per il risarcimento del danno derivante dalla mancata aggiudicazione di un appalto pubblico

L.S.
Con la sentenza n. 1180 del 2 marzo 2009, il Consiglio di Stato individua alcune regole per la quantificazione del risarcimento del danno spettante ad un’impresa illegittimamente esclusa da una gara pubblica della quale sarebbe risultata aggiudicataria in caso di corretta applicazione delle regole e dei criteri di gara da parte dell’Amministrazione Appaltante, laddove non sia più possibile (nel caso in esame per il sopravvenuto fallimento dell’Impresa stessa) la reintegrazione in forma specifica.
Ritiene il Consiglio di Stato che in primo luogo debba essere considerato il “lucro cessante” da rapportarsi all’utile che l’impresa avrebbe conseguito, a seguito dell’aggiudicazione illegittimamente negata. Tale utile, che la prevalente giurisprudenza mutua dall’art. 345 della legge 20.3.1865, n. 2248, all. F (riprodotto dall’art. 122 del D.P.R. 21.12.1999, n. 554 e dall’art. 37 septies, comma 1, lettera c, della legge 11.2.1994, n. 109), nella misura del 10% dell’importo dell’appalto, secondo il Consiglio di Stato deve essere tuttavia parametrato al ribasso praticato in sede di offerta. Detta quantificazione deve considerarsi comprensiva anche del “danno emergente”, identificato nel costo affrontato dall’Impresa per la presentazione dell’offerta, precisando il Consiglio di Stato che detto costo costituisce un investimento, ma anche un rischio che l’impresa deve sopportare.
Infine, il Consiglio di Stato riconosce la risarcibilità di un’ulteriore voce di danno e cioè del cd “danno curriculare”, definito come “deminutio di peso imprenditoriale della società per omessa acquisizione dell’appalto che la medesima avrebbe avuto titolo a conseguire”. Tale danno, che consiste certamente in un inferiore radicamento nel mercato dell’impresa sino a poter essere concausa della crisi economica o imprenditoriale della medesima, è di difficile determinazione e viene quantificato dal Consiglio di Stato – secondo una stima già ritenuta equa (Cons. St., sez. VI, 9.6.2008, n. 2751) –  fra l’1% e il 5% dell’importo globale del servizio da aggiudicare.