Project financing: la P.A. non è (ndr, non era) tenuta a rispondere alle proposte non inserite nei propri strumenti di programmazione

D.S.

Si segnala una pronuncia del Consiglio di Stato (Sez. IV, 13 gennaio 2010 n. 75), recentemente resa in materia diproject financing, al fine di soffermarci su una delle tante novità introdotte sul tema ad opera del D.Lgs. 163/2005.e s.m.i. (cd. Codice degli appalti).

Secondo i Giudici di Palazzo Spada, infatti, in assenza del preventivo inserimento nei programmi dell’Amministrazione appaltante dell’opera da affidarsi, non è (non era, per le ragioni di seguito esposte) configurabile alcun obbligo per P.A. di dare risposta alla proposta avanzata dal privato.

Tanto ha affermato il Giudice amministrativo d’Appello nel dirimere un caso verificatosi sotto la vigenza della precedente normativa sulla finanza di progetto (artt. 37- bis a 37-quater
 della legge n. 109 del 1994, per la finanza di progetto per le opere pubbliche ordinarie e l’art. 8 del decreto legislativo n. 190 del 2002, riguardante la finanza di progetto applicata alle grandi infrastrutture). E ciò a prescindere dal fatto – ha aggiunto il Consiglio di Stato - che si trattasse di opera pubblica strategica o ordinaria, atteso che entrambe le disposizioni (art. 8 d.lgs. n. 190/2002 ed art. 37-bis della legge n. 109/1994, cui l’art. 8 comunque fa specifico rinvio) individuavano espressamente l’atto di programmazione attraverso il quale l’Amministrazione doveva necessariamente, quanto preventivamente, indicare l’opera per la quale, in carenza di proprie risorse, avesse intenzione di sollecitare i privati al finanziamento dell’opera medesima.

Ebbene, la “essenzialità”, ai fini dell’obbligo di pronunciarsi in parola, del previo inserimento negli strumenti di programmazione deve ritenersi venuta meno in forza di quanto oggi espressamente previsto dall’art. 153, comma 19, del predetto Codice degli appalti, giusta il quale:

“I soggetti in possesso dei requisiti di cui al comma 8, nonché i soggetti di cui al comma 20 possono presentare alle amministrazioni aggiudicatrici, a mezzo di studi di fattibilità, proposte relative alla realizzazione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità non presenti nella programmazione triennale di cui all'articolo 128 ovvero negli strumenti di programmazione approvati dall'amministrazione aggiudicatrice sulla base della normativa vigente. Le amministrazioni sono tenute a valutare le proposte entro sei mesi dal loro ricevimento e possono adottare, nell'ambito dei propri programmi, gli studi di fattibilità ritenuti di pubblico interesse; l'adozione non determina alcun diritto del proponente al compenso per le prestazioni compiute o alla realizzazione dei lavori, né alla gestione dei relativi servizi. Qualora le amministrazioni adottino gli studi di fattibilità, si applicano le disposizioni del presente articolo”.

Con il Codice degli appalti si è imposto dunque alle Amministrazioni di valutare (e conseguentemente pronunciarsi entro il predetto termine semestrale) le proposte non previamente programmate.

Ne consegue la inattualità del principio dettato nella sentenza in commento rispetto alle proposte formulate ai sensi della nuova disciplina sul project financing.